“Le galanti”. Intervista a Filippo Tuena

Isabella Panfido intervista uno dei tre finalisti del Premio Comisso 2019 Sezione Narrativa

E’ un libro/universo ‘Le galanti’, Il Saggiatore di Filippo Tuena, finalista nella sezione narrativa al Premio Comisso 2019. Il sottotitolo recita ‘Quasi un’autobiografia’ e quanto possa essere labirintica e fascinosa la narrazione del sé di un autore come Tuena, adoratore del bello, lo dice anche la mole dell’edizione illustrata.

Uno scrittore raffinato, onnisciente, curioso che affida alle quasi settecento pagine di ricognizione del cuore e dello spirito squisite confessioni di amori artistici e non, sempre tuttavia fedele al dictat della passione e della memoria. Una galassia variegata è racchiusa in ‘Le galanti’, e per chi ama la scrittura di eccellenza, basterà nominare un padre nobile come W.G.Sebald per fornire uno dei possibili accessi alla rete serica tessuta da Tuena.

Il dardo che trafigge questo esaltante percorso è l’amore, sotto ogni forma esso si dia allo sguardo squisitamente voyeuristico di un conoscitore profondo di arte e letteratura.

Ovidianamente avrebbe potuto intitolarsi ‘Amores’ questa quasi autobiografia che incanta e stupisce per vastità, eterodossia e essenza metamorfica, scritta sotto forma di piccoli saggi così come nel tono confidenziale di una confessione. Solo indicativamente un assaggio frammentato della premessa a mo’ di indice: ‘In questo libro si parla di: Sparta, Micene, sculture arcaiche greche… l’Ermafrodito Borghese e Bernini…Fantin Latour e le sue modelle….Roma nazista…Gericault e la ‘Zattera della Medusa’…un’edizione dell’Orlando Furioso’. Sic!

Chiediamo a Tuena quale è stato il primo nucleo di ‘Le galanti’.

“Volevo fare un libro smilzo, un centinaio di pagine appena. Poi l’urgenza di raccontare ha preso il sopravvento, gli intrecci sono diventati così labirintici che ho dovuto cedere. In realtà il primo capitolo del libro è stato soppresso, era una lunga conversazione col mio editor in cui raccontavo l’idea che avevo in mente. Ne è rimasto qualche brandello nell’introduzione.”

Gli editori faticano a pubblicare libri con immagini, come il suo, qual è il lettore italiano (sopravvissuto al tritume narrativo) che può accedere a un libro come questo?

“L’unico social che frequento, facebook, mi dà un’idea abbastanza chiara del tipo di lettore che è interessato alle Galanti. Direi i lettori affezionati, che seguono il mio lavoro e ci si ritrovano. Molti giovani scrittori o critici sono interessati allo strambo lavoro che faccio riguardo alla narrativa.”

Il titolo felice Le Galanti nasce davvero, come lei scrive, da un sogno?

“Il titolo era questo sin dall’inizio. La cosa strana è che lavorando al capitolo su Watteau e Citera è emersa la circostanza del cambio di titolo – da Pellegrinaggio a Citera a Festa galante- così ho introdotto quella folle parte di raccordo a metà del libro.”

Nel capitolo (sorprendente) dedicato del taxidermista, trova il modo di riflettere amaramente sull’oggi politicamente degradato.

“Come scrivo è una storia che volevo raccontare da almeno vent’anni. Ma poi lo scorso settembre, non ricordo a proposito di quale scempiaggine proposta o realizzata dal governo giallo-verde m’è sembrato necessario che anch’io scrivessi un piccolo messaggio nella bottiglia nella speranza che un lettore, magari tra vent’anni, lo ritrovasse imprevisto nella lettura.”

Perché a volte ricorre alla stesura in forma di versi?

“In realtà scrivo quasi sempre in questa forma ibrida – non direi ‘versi’ quanto piuttosto una sorta di prosodia. A volte poi ‘giustifico’, a volte invece lascio la forma a ‘bandiera’. Una forma di libertà che mi piace confermare.”

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