Moisé Mussolin ebreo

Mussolini era ebreo? Certamente il Duce ebbe una gran paura che tale notizia potesse diffondersi.

E nel giro di poche settimane fece sparire il libro nel quale compariva il resoconto di un agente segreto del Settecento, al servizio degli Inquisitori di Venezia in cui denunciava un sedizioso, uno che per mestiere alimentava i tumulti nelle piazze, noto come Moisé Mussolin, ebreo.

Ma non solo, la spia specificava con queste parole l’attività del Mussolin ebreo: corre da per tutto colle novità discorrendone con tal calore, si rileva avere egli una passione predominante in favore dei Prussiani, forma adunanze di gente, e bisbiglia col suo parlare.

Evidentemente certe somiglianze con l’antenato dovettero esser sgradite al Duce, ma soprattutto l’orrendo epiteto.

Seguivano a convalida dell’autenticità di quanto dichiarato la data e il nome dell’agente segreto al servizio della Serenissima, 4 agosto 1760G.B. Mannuzzi.

Pochi conoscono le vicende editoriali del volume, edito da Bompiani nell’autunno del 1941, che dimostrano l’irritazione del Duce che la notizia si divulgasse: il Ministro della Cultura Popolare del Regno d’Italia e segretario del Partito Fascista Repubblicano Alessandro Pavolini ne firma il 28/10/41 il sequestro. Cinque giorni dopo Gherardo Casini, direttoredel famigerato Minculpop, che controlla la stampa con veline e sovvenzioni, scrive alla Prefettura di Milano di intimare alla casa editrice Bompiani la cancellazione del passo incriminato, lo stesso Ministero ordina poi a tutti i giornali il silenzio stampa sulvolume, chepoche settimane dopo viene ripubblicato con alcune modifiche. Lo stesso autore ha proposto infatti di sostituire Mussolin con Massarin,e di eliminare l’epiteto incriminato.Il Ministero approva, richiedendo tuttavia altri cambiamenti, per dissimulare l’importanza di quell’ebreo.

Quello che nessuno conosce però è il manzoniano vero poetico di tutta la faccenda,il punto di vista di colui che aveva trovato il documento settecentesco e rivelato le trame segrete di una vera e propria spy story.

È chiaro che dovette accettare la censura fascista, ma gli pesò. E poiché era uno scrittore dal carattere piuttosto ribelle ne parlò a lungo all’amico di una vita, anch’egli scrittore e poco avvezzo all’opportunismo politico.Protagonisti della vicenda furono dunque Giovanni Comisso ed Henry Furst.

Quasi coetanei, del ’95 l’uno e del ’93 l’americano, avevano molto in comune, oltre alla scrittura. Tutto è documentato dalle lettere di Giovanni a Enrico, tuttora inedite e sconosciute, le quali coprono un periodo che va dal 1929 al 1967. Esse attestano identità di vita e d’interessi, periodi di convivenza, viaggi e salotti comuni,una liaison con momenti di tenerezza e qualche lite, trasformatasi poi in una bella amicizia.

Ma ciò che più di tutto li unì furono quei quindici mesi con D’annunzio a Fiume.

Mesi vissuti nell’euforia e nella trasgressione, con gente tipo il l’eccentrico Guido Keller, o il centauro Léon Kochnitzky. Il Vate guidava e ammalia tutti con il suo fascino,ne è prova anche lo pseudonimo che Comisso utilizza nelle lettere, noto solo ai legionari più intimi: Calipso.

Comisso rievoca sempre con nostalgia quei momenti, confermando il ruolo dello scrittore americano negli ambienti letterari di quegli anni, e fa riferimento anche a una certa vicenda relativa a un aviatore, che aveva fatto indignare Calipso, e che fu probabilmente causa del distacco tra Furst e il Comandante. Ma questa è un’altra storia.

Ciò che stupisce è invece il numero di volte in cui, tra tanti argomenti e confidenze,Giovanni parla a Enrico dell’intervento della censura fascista nei confronti del suo saggio. Segno dell’importanza che quel volume aveva per lui e dell’indignazione per quanto era successo.

Il libro incriminato era dunque Agenti segreti veneziani, scritto da Comisso dopo lunghe ricerche tra i documenti relativi agli inquisitori della Repubblica di Venezia.

Non è il caso qui di indagare che cosa poteva aver spinto un autore di racconti e romanzi di successo allo studio d’archivio. Egli stesso dichiarò nella successiva Prefazione, che nell’inverno del 1940, con i tempi poco favorevoli ai miei soliti viaggi, pensai di ripiegare su una vita d’archivio.

Certo è che le affinità tra l’ultima fase della Repubblica di Venezia e lo stato fascista erano evidenti, e colpirono non solo lo scrittore ma anche il Duce.

Il governo veneziano infatti aveva reagito alla crisi settecentesca incrementando un sistema poliziesco e un efficiente sistema di spie, come l’agente segretoG.B. Mannuzzi, un vero e proprio 007, che militò per 20 anni al servizio di sua maestà la Serenissima e fu il delatore, tra gli altri, di Moisé Mussolin, ebreo.

Ciò confermerebbe la veridicità di quanto denunciato, poiché non era uno qualunque il Mannuzzi. E Comisso nelle lettere non mette mai neppur lontanamente in dubbio tale verità. Eppure parla spesso del fatto, e a lungo: i primi cenni alla faccenda compaiono nel ’45, gli ultimi nel ’60.

Il 10 agosto del ’45 Enrico è in America, Giovanni ha appena avuto suo notizie, la lettera si apre con uno splendido: Vivi. Io pure.A quella data è l’augurio atteso da per entrambi. Poi gli racconta la genesi di Agenti segreti veneziani nel ‘700, e riferisce:

il libro fu sequestrato dal fascismo per un passo d’una denuncia d’una spia del 700 dove si diceva di certo Moisé Mussolin ebreo partitante per i prussiani che faceva sorgere tumulti in P.zza S. Marco. Il documento fu creduto falsificato da me, inchieste, trovato il documento fu tolto dalla busta dell’Archivio. L’edizione fu esaurita subito prima del sequestro. Dalla Svizzera una copia fu ricercata e pagata mille lire.

E chiede successivamente all’amico che si occupi della traduzione in inglese e che trovi un editore per gli Stati Uniti.

Il 2 ottobre ribadisce le stesse cose, poiché teme che le lettere non giungano a Enrico, che inoltre risponde raramente e in ritardo. Lo definisce un libro curioso, bellissimo. Gli ripete che è stato tradotto già in ungherese, spagnolo e francese. Cerca di toccarlo sul vivo perché si dia da fare, in parte ricordandogli che erano andati insieme all’Archivio, in uno dei loro soggiorni a Venezia, in parte affermando che la pubblicazione in inglese farà guadagnare molto.

La lettera del 7 novembre si apre con un grido di gioia: una tua lettera finalmente.E dopo altri argomenti parla nuovamente di Agenti Veneziani, e aggiunge:

Ne parlai a un mio amico che è a Hollywood (amico di Toscanini) e lui che ha una casa cinematografica ne vuole fare un film. Ma anche questa volta sembra non accada nulla.

Nel giugno del ’46 Comisso è stupito del fatto che Enrico non abbia ancora ricevuto il volume, e afferma: tu sai che io non mi sono mai fatto illusioni sulle traduzioni, non ne ho mai ricevuto un soldo, per una ragione o per l’altra. Del resto vedo che conviene pensare solo al proprio paese, in questi tempi strani.

In una lettera successiva compare un’ampia e articolata sinossi del saggio, al termine della quale Comisso precisa:

Il documento fu ritenuto allusivo a Mussolini, e non potendolo sopprimere nella sua storica autenticità ne fu ordinata la sostituzione del testo e il sequestro della prima edizione.

Dunque era tutto vero. E Comisso sembra sempre più legato al suo saggio, fa dei cenni rapidi ai romanzi che nel frattempo scrive e pubblica, ma su questo non molla.

 Ancora nelle lettere del ’47 parla a Enrico dei proventi delle traduzioni, sa che ha ricevuto il libro, lo esorta a leggerlo attentamente, dice che gli piacerà.

Infine, il 22 gennaio del 47 scrive:

Affare Bompiani: sarebbero lusingati che tu potessi combinare la traduzione di Agenti Segreti per U.S.A. L’edizione integrale fu stampata il 27 sett. 41 la pagina incriminata è 73 quinta riga finale ci deve essere il nome Moisè Mussolin, ebreo. In quella purgata invece….E continua con altre indicazioni.

Nel gennaio del 48 concede a Furst di occuparsi dell’edizione spagnola per 6 mesi.

I riferimenti all’opera continuano a comparire anche nelle lettere successive, più o meno nei termini sin qui indicati, fino almeno al ’60, stando alle lettere inedite di Comisso sinora analizzate.

Il 10/XII/60 scrive infatti a Enrico che è uscita una nuova edizione de Le relazioni degli ambasciatori veneti, subito esaurita, ed esorta l’amico a leggere la prefazione (oggi nell’edizione di Neri Pozza del ’94) poiché in essa col tono di una ricognizione letteraria faccio una profonda analisi storica.

In realtà il successo che Comisso si aspettava da questo suo saggio, curioso e interessantissimo al di là del fatto Mussolini, non arrivò. Il peso della censura prima e gli eventi politico-letterari di poi fecero la loro parte, ma oggi forse il Mussolin ebreo potrebbe ancora suscitare qualche tumulto.

E stupisce il fatto che a parlare recentemente, e in termini entusiastici, di Agenti segreti sia stato non uno scrittore o un critico italiano, ma il grandissimo scrittore spagnolo Javier Marìas.

Egli nel 2011, in occasione dell’assegnazione del premio Internazionale Nonino, parlando del rapporto tra verità e finzione, letteratura e politica, che aveva coinvolto anche Umberto Eco sulle pagine del País, disse:

La mia posizione è nota. Tutti, non solo i governi ma qualsiasi individuo, tendono a nascondere qualcosa. (…) Pensi ai servizi segreti: se decidiamo che sono utili alla società, devono restare segreti. Ricordo un meraviglioso libro di Giovanni Comisso sulle spie della Repubblica Veneta. Altro che Wikileaks”.

Forse la risposta alla domanda iniziale è irrilevante, ma è fondamentale ciò che quel dubbio significò per il Duce, e potrebbe farci riscoprire un bel saggio, e due vecchi amici.

Emanuela Rotta Gentile

ringraziando il padre, proprietario dell’inedito carteggio

Emanuela Rotta Gentile ha vissuto per molti anni a Mogliano e si è laureata in Lettere a Ca’ Foscari. Nipote degli scrittori Orsola Nemi e Henry Furst, ha trascorso buona parte della sua gioventù con i nonni, in particolare con Orsola, nella villa di San Bartolomeo alla Spezia. Da loro ha ereditato l’amore per i libri. Insegna lettere al Liceo scientifico di Imperia, e si diverte a organizzare eventi e intervistare gli autori. Ha scritto un romanzo e dei racconti, che sono ancora nel cassetto. Ma la cosa alla quale tiene di più è lo splendido epistolario dei nonni, in cui compaiono le firme dei grandi del Novecento. Tra di essi numerosissime e preziose le lettere dell’amico di una vita, Giovanni Comisso. Da alcune di esse è nato lo spunto per questo articolo.

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