Siamo un paese di criminali ambientali

Intervista a Fulvio Ervas

Per sua stessa ammissione, non è stato semplice mettersi a scrivere un nuovo capitolo dell’ispettore Stucky dopo il successo del film tratto del romanzo “Finché c’è prosecco c’è speranza”.

A ogni frase del tipo “Stucky corse verso la porta”, Fulvio Ervas si è trovato a chiedersi se e come Giuseppe Battiston, l’attore che ha dato un volto al poliziotto di origini persiane, potesse correre, data la sua stazza.

Ma, vinti i comprensibili scrupoli iniziali, con “C’era il mare” ha creato un romanzo avvincente imperniato su due indagini in parallelo.

L’ispettore Stucky è alle prese con un nuovo caso. Ancora una volta legato alla provincia veneta?

È quello il territorio in cui il mio personaggio opera ed è quello di cui ho competenza. Non potrei mai scrivere di luoghi che non conosco a fondo. Inoltre, l’Italia ha caratteristiche morfologiche non permettono di creare con facilità un “commissario nazionale” alla Fred Vargas.

Tutti gli scrittori italiani di polizieschi sono confinati entro aree geografiche specifiche. Penso a Camilleri, ad esempio.

Viviamo in un Paese di campanili nel quale l’ispettore spesso non può vedere oltre la collina che lo separa dal collega.

“C’era il mare” sembra confermarlo, con omicidi apparentemente distinti in due diverse province. E c’è un ritorno significativo: perché proprio Luana Bertelli?

L’ispettrice si era già presa un po’ di spazio in “Pericolo giallo” e mi era piaciuta. Questa volta mi sono semplicemente lasciato affascinare dalle sue possibilità narrative. Tant’è che vorrei farne un personaggio a sé, magari accompagnato da altre poliziotte.

Da uomo, sarebbe una bella sfida raccontare la polizia al femminile. Spero di trovare il tempo.

Bertelli è volitiva, non si lascia intimorire dalla violenza. E a differenza di Stucky ama sparare. Potrebbe sembrare un’inversione di ruoli?

Non ne faccio una questione di genere. Uomini e donne forti, per me, sono né più né meno che persone forti.

Inoltre, mi serviva un contraltare a Stucky e alla Treviso borghese. Per Marghera, dove è tutto più difficile, dove il tessuto sociale è diverso, non poteva che esserci una donna come Luana, che guarda al mondo a muso duro senza rinunciare alla sensibilità. Basti pensare al suo tenero rapporto con la sorella e i nipotini.

Bertelli è una romantica che tira pugni. Non prevarica, non ostenta la sua forza, ma quando occorre sa anche fare a cazzotti.

A proposito di violenza e di vendetta, il romanzo è attraversato da un fiume sotterraneo di rancore e di rabbia.

Nel 2017 la parola più utilizzata dagli italiani è stata “rancore”. L’ho scoperto quando avevo quasi terminato il libro, ma prima avevo comunque captato che il nostro Paese era attraversato da un rancore cieco, che offuscava le menti.

Il rancore è un sentimento peggiore della rabbia, perché si protrae nel tempo.

Mi ricorda l’irrancidimento dei grassi:si accumula e deteriora l’uomo facendogli perdere le coordinate. Alimenta le frustrazioni e l’invidia, impedisce di fare i conti con il passato e soprattutto impedisce di assumersi le proprie responsabilità rispetto alla situazione in cui ci si trova.

Ecco perché nel romanzo ho immaginato una “Compagnia del rancore” composta da falliti.

In che senso falliti?

I suoi membri non sono persone sconfitte. Sono persone che hanno fatto male i conti con il passato. Avevano aspettative eccessive o avevano sogni senza strumenti e sono rimasti delusi, arrabbiati.

Il rancore è il fallimento di chi non vuole studiare davvero la vita, di chi non vuole indagare le cause e i processi. La vita, prima o dopo, ti scova. E ti presenta il conto.

Non esiste Stucky se non c’è una questione ambientale da denunciare: è un binomio indissolubile?

Il poliziesco con il morto per il morto o l’inchiesta per l’inchiesta è un filone che non mi interessa. Stuckyè l’occasione per raccontare queste tematiche: quando avrò terminato gli argomenti legati all’ambiente passerò ad altro. Per “C’era il mare” ho scelto Porto Marghera perché è la madre di tutte le questioni ambientali del Veneto. Anche se non sembra, è un libro fatto di numeri. Scrivo di ciò che ho approfondito, studiato, misurato. È una vicenda apparentemente solo locale, in realtà ha un riverbero nazionale.

Probabilmente se avessi scritto un giallo puro avrei trovato più pubblico, ma dobbiamo ammettere che il nostro è un Paese di criminali ambientali e non è facile innamorarsi di uno scrittore che lo mette nero su bianco.

Quello di cercare un mercato di lettori con delle priorità etiche e cognitive è un atto che ho compiuto coscientemente.

C’entra anche il centenario della nascita del progetto di Porto Marghera?

Certo, mi è sembrato una buona occasione per riflettere sul fallimento parziale del progetto.

Fare un simile bilancio non è alla portata di Stucky, ma a lui ho assegnato il compito di mettere assieme la Treviso borghese e Porto Marghera con le sue storiche contraddizioni, i suoi fallimenti progettuali e industriali.

Oggi ci troviamo con una realtà ambientale che non sappiamo ancora come affrontare. Non si sa se e come potremo bonificare le aree del petrolchimico.

Porto Marghera, quindi, è un processo che non è ancora stato indagato?

Nel romanzo, infatti, non ci sono soluzioni. Ci sono spunti di riflessione. In questo mi sono fatto aiutare dal personaggio di “Bisàt”. Il suo è un soprannome, significa anguilla, l’animale migrante per eccellenza che vive nei nostri fiumi e canali ma arriva dalle Antille.

Credo che essere migrante permetta di osservare le cose con occhi diversi e faciliti la comprensione dei processi.

Che è quello che ci manca. Bisàt, assieme a Stucky, osserva gli aerei che atterrano. Entrambi non ne hanno visto il decollo, ma ne studiano l’atterraggio, che è il punto di arrivo di un processo. Bisàt, il foresto, il migrante biologico, il processo vivente per antonomasia, è l’unico che può vedere.

Interessante che Bisàt, che richiama una creatura d’acqua, si interessi di una macchina che solca i cieli.

Acqua, aria, sono elementi essenziali per la vita. Permettono gli spostamenti e solo chi si sposta vede. È questo il nucleo poetico della storia che ho voluto raccontare. Guardare i processi permette di capire come si è vissuti. Se non si riesce, il rischio è di diventare rancorosi. E di attribuire la colpa ad altri.

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