Che cos’è la raffinatezza? Basta varcare la soglia di Este Ceramiche Porcellane per tentare una risposta. Quella che è una delle più antiche manifatture d’Europa è ancora incastonata nelle mura città, e dello spirito del luogo conserva l’eleganza, la sobrietà, il senso della tradizione che si lega al nuovo. Affacciata sul canale che un tempo portava a Venezia, la sede conserva un calore difficilmente definibile, un misto di atmosfera e storia che si concretizza nell’ambiente accogliente, così lontano dal quotidiano da apparire sospeso, fuori dal tempo.
Eppure la storia di questo luogo ha precise coordinate temporali perché risale al Settecento, quando l’incisore Girolamo Franchini dà vita all’omonima manifattura di vasellame, poi rilevata nel 1955 dal fiorentino Giovanni Battista Giorgini, folgorato dalla bottega durante un giro in macchina nel territorio atestino. È lui a trovare nei magazzini gli antichi stampi del marchio, un patrimonio di inestimabile ricchezza, pietra angolare di una produzione che guarda al futuro senza dimenticare le gemme del suo passato. Il gusto di Giorgini è del resto l’ingrediente fondamentale per imprimere al corso di Este Ceramiche quell’impalpabile leggerezza mutuata dall’alta moda italiana, che grazie all’imprenditore conosce respiro internazionale (sarà lui a promuovere nel 1951 le prime sfilate a Firenze), in un panorama ancora dominato dalle maisons francesi.

È l’intreccio di innovazione e sapere artigiano, di design e manualità e fare di queste ceramiche e porcellane un prodotto unico, lontano dalla riproducibilità industriale e prossima, semmai, a un gioiello “alchemico”, frutto della combinazione dei quattro elementi naturali. La terra liquida viene infatti lavorata entro stampi di gesso, riempiti e poi colati. Il sottile strato di argilla rimanente riposa fino ad assumere la forma stabilita, che sarà poi oggetto di un’attenta rifinitura prima di essere asciugata e cotta a più di mille gradi. Aria, acqua, terra e fuoco, per preparare la ceramica allo smalto e all’eventuale decorazione.
Un lavoro sulla materia, dunque, che implica un sapere antichissimo, quasi un esercizio spirituale che Giovanni Battista Fadigati racconta con precisione, mettendo insieme suggestioni visive e olfattive, ricordi personali e ricerche di metodo. È lui ad assumere nel 1975 la presidenza dell’azienda, continuando nella direzione tracciata dal nonno di cui eredita il nome e la grazia, figlia – senza dubbio – di un’antica consuetudine con la bellezza.

«Un’innovazione che abbraccia il passato: questa è la formula chiave della nostra realtà» afferma mentre ci mostra alcuni pezzi che rivelano l’attenzione per il dettaglio, il gusto per la particolarità che deriva dalla decorazione a mano, dal saper modulare le sfumature, dall’amare – in ultimo – ciò che si sta creando. È una storia di passione la sua, il racconto di una famiglia che trova nell’argilla, nell’acqua, nel fuoco i suoi ingredienti elettivi, abbracciando una tradizione secolare.
C’è della magia nel trasporto con cui lui e sua figlia Isabelle parlano di un lavoro che è anzitutto conservazione di un patrimonio materiale e immateriale. Raccontano le intuizioni di Giorgini, i primi esperimenti per realizzare una porcellana bianca con cui eseguire i modelli di Girolamo Franchini. E ancora le collaborazioni con i designer italiani e internazionali, fiore all’occhiello del nuovo corso, che i Fadigati ripropongono in una continua ricerca del bello, come nella collezione firmata Inma Bermúdez, tesa alla modernizzazione di motivi tipici come pesci, fiori, animali, o nei lavori con Alessandro Mendini, Michele De Lucchi, Paolo Portoghesi, Matteo Thun, Krizia, Ottavio Missoni, Paola Navone.


«Lavorare la ceramica significa offrire agli artisti un campo in cui sperimentare» dichiara Isabelle. «I nostri prodotti sono unici, tutto è frutto di una manualità esperta, di un’attenzione scrupolosa all’aspetto qualitativo. È bello che si continui a lavorare nel solco di una tradizione antichissima, utilizzando gli stampi originali come nel caso di quelli ispirati al mondo naturale. È un modo per dar vita a una storia fatta di tante storie, destinata a non finire».
L’atelier in cui la giovane imprenditrice si muove con l’entusiasmo di chi conosce e ama ciò che promuove svela un mondo di creazioni folgoranti, dai piatti vintage trompe l’oeil alla collezione ispirata ai giardini all’italiana. Un percorso nell’arte della tavola – apprezzato da clienti come Tiffany & Co. e Dior – che vede zuppiere, tazze e piattini a forma di verza affiancarsi ad alberi di limoni e cesti di frutta smaltati.


Il blu di Este, cifra cromatica della città, attraversa come un fil-rouge molti degli oggetti in esposizione, quasi a tradurre fisicamente l’antica vocazione di questo centro veneto, che della vicinanza all’acqua ha fatto il suo tratto esistenziale. Lo conferma l’esperienza della Triennale della Ceramica di Este, nata con l’idea di rilanciare e sviluppare quest’espressione artistica frutto di sinergie feconde. Artisti, architetti e design chiamati a raccolta per dar vita a collezioni uniche, in grado di restituire le potenzialità di una materia prima che, parafrasando il celebre passo della Tempesta shakespeariana, è la stessa dei sogni: duttile, versatile, incantevole.

Non a caso Giovanni Battista Fadigati afferma di «credere nel magnetismo», perché «le strade, le mura di un luogo conservano l’anima dello stesso». Viene in mente un concetto caro al geografo cinese Yi-Fu Tuan, che con “sense of place” fotografa il ponte emotivo che l’uomo costruisce verso certi luoghi, la forma mentale che ha di essi, l’idea che ne coltiva sulla base dei ricordi, dell’esperienza, del vissuto. Ogni spazio fisico possiede un “campo emozionale”, che può essere compreso solo dopo un’esperienza prolungata attraverso il coinvolgimento di tutti i sensi, in stretto rapporto con istinti, emozioni e azioni.
E se il luogo è una fitta trama di relazioni, in cui passato e presente si toccano, l’esperienza di Este Ceramiche perpetua una narrazione potenzialmente interminabile, una storia che guarda al futuro attraverso la trasmissione dei saperi e il desiderio di innovare conservando. Come ogni storia d’amore, fatta di sogni e di costanza.
Ginevra Amadio
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