Filippo Tuena e il sogno di una notte di mezza estate

Di fronte a  una cifra stilistica così raffinata come la tua,all’accuratezza, cosa pensi quando incroci nel mondo virtuale una comunicazione basata essenzialmente sull’uso di slogan, di hashtag, di sigle e sull’abuso di puntini e punti esclamativi che si traducono -nel mondo reale – in continue sgrammaticature?
Insomma io credo ci sia un dolore profondo nell’osservare questa barbarie linguistica che si tira dietro, essendone lo specchio, una civiltà appunto incline alla barbarie.Può in questo senso la letteratura recuperare questo declino?

Fino all’anno scorso non avevo smartphone, ma un semplicissimo Nokia dove scrivere anche brevi messaggi era piuttosto faticoso; poi sono stato costretto per ragioni familiari – un figlio che trascorreva un anno all’estero – a cedere alla comunicazione diretta, immediata e gratuita degli smartphone e di whatsapp. (che ancora non ho capito se si scrive così o what’s up).

Ho una certa difficoltà a comunicare attraverso le tastierine degli smarphone – se posso preferisco sempre la tastiera da macchina per scrivere dei computer – e mi rendo conto che i problemi di diteggiatura si riversano nella scrittura: estrema sintesi, semplificazione, uso di emoticon, e così via. Questa comunicazione brusca certamente modifica il modo di relazionarsi e,alla lunga avrà conseguenze penso nefaste sulla scrittura.

Altre conseguenze, certamente ha, ma non so se nefaste, la comunicazione tramite computer. I blog, i social hanno regole abbastanza ferree e fanno ricorso molto spesso all’allusività – che in sé non sarebbe un male – ma che tendono a escludere chi è fuori da quel sistema di comunicazione.

Altro discorso è la violenza, la brutalità della comunicazione in atto da neppure troppo tempo sul web e nella vita reale: gli insulti, le espressioni di odio che si ritrovano mi avviliscono profondamente.Continuo a praticare Facebook ma più passa il tempo e più mi trovo a disagio. Cerco di non avere contatti con persone aggressive anche solo verbalmente ma è quasi impossibile riuscirci. Mi allontano sempre di più da queste piattaforme.

E anche nella vita di tutti i giorni sono diventato guardingo. Non voglio imbattermi nella volgarità e questo mi porta a trincerarmi tra le mura domestiche e con le amicizie consolidate. Ma non è bello.

‘Com’è trascorsa la notte’ non è di immediata collocazione.Intendo: tu dove lo classificheresti nella tua libreria, fra i romanzi, fra i saggi, fra i testi di teatro?

Quel libro è certamente una sorta di commento a un testo teatrale.Gran parte del testo ne mima persino la struttura: dialoghi recitati da personaggi che agiscono su un palcoscenico.

L’idea all’origine del libro era quella di scrivere una sorta di note di regia del ‘MidsummerNight’sDream’; se preferisci il resoconto di quel che mi passava per la testa quando mi capitava di assistere a una messa in scena di quel testo.

Non è certamente un testo teatrale, almeno nell’accezione tradizionale del termine. Non è un saggio, anche se ha corposi inserti saggistici. Non è un romanzo, anche se è scritto in una prosa narrativa che è debitrice del romanzo. Non è un memoir, anche se racconta, trasfigurandole, situazioni reali e che mi sono capitate. Nei monologhi degli attori ho rubricato, per esempio, un bel numero di miei fallimenti affettivi. E’ un po’ tutte queste cose messe una accanto all’altra.

Del resto sono anni che lavoro sulla frammentazione della narrativa pur essendo essenzialmente un narratore. Ma non capisco come si possa, oggi, scrivere un romanzo tradizionale. O almeno come si possano inventare vicende immaginarie, creare personaggi che non abbiano forte attinenza alla realtà. Mi si obietterà: ma tu metti in scena i satelliti di Urano.

D’accordo, ma tutto quello che scrivo è tra le pieghe del testo shakespeariano. Io mi sento un commentatore, non un inventore di trame.

La struttura del tuo lavoro appare essenziale come fosse il risultato di un lavoro certosino di scelte, di tagli,per eliminazione(e questo nonostante il Puck di copertina molto frondoso possa trarre in inganno). Come ci sei arrivato?

Mi piace avere una visione trasversale, obliqua, inaspettata delle cose e degli eventi perché consente inattese scoperte; suggerisce soluzioni; offre alternative. A questa visione occorre accostare la selezione dei risultati e la selezione dei materiali di partenza. Sono sempre dell’idea che in narrativa sia necessario scrivere solo il necessario. Togliere, lasciar emergere quello che altrimenti sarebbe nascosto. Alla fine, anche tu lo hai notato, in questo libro, parto dall’analisi di due frasette di poche righe: un ‘Philostratus exit’ in una delle prime didascalie, e l’evenienza della parola ‘morte’laddove non era attesa.

Cito sempre una frase di Voltaire, riadattandola a mio uso e consumo: ‘Vuoi annoiare qualcuno?Raccontagli tutto.’.

C’è indubbiamente una derivazione artistica (musicale, pittorica) oltre che letteraria che determina nella tua opera un’estrema raffinatezza e che ti inserisce in una dimensione se non atemporale perlomeno originale. Sembra insistere sul tuo lavoro una forte classicità e non è solo Shakespeare che mi fa pensare questo. In generale l’arte sembra stare alla base della tua produzione dandole una dimensione classica. Ti faccio una domanda molto retorica: come si inserisce la tua classicità nella contemporaneità? Insomma, perché dovremmo leggerti?

A me interessa il lavoro creativo dell’uomo, il suo applicarsi nel risolvere problemi che spesso si pone egli stesso. Pensa a Scott, in ‘Ultimo parallelo’: si era posto il problema ‘arrivare al Polo’, lo risolve arrivandoci e morendo. In quel caso analizzo il fallimento.
Altrettanto in Variazioni Reinach. Uno dei temi del libro è‘autodistruggersi’: Seguo Léon in questo dissennato annientamento, in questo suo ‘cupio dissolvi’. Lo stesso per Schumann; o per Michelangelo (con la variante che rispetto agli altri non è un personaggio autodistruttivo).

Se questi sono i miei argomenti – ci aggiungo la ‘passione’ che in quest’ultimo e nel prossimo acquista un peso determinante – , appare chiaro che non posso lavorare su argomenti contemporanei, ho bisogno di lavorare su fatti storici, già acquisiti, storicizzati dal lettore che, se mi segue, sarà costretto ad assumere una posizione diversa rispetto al passato. Deve poter dire: ‘non è come immaginavo, allora’.

Il rapporto con la contemporaneità credo di realizzarlo nella struttura dei testi che dovrebbe condurre, almeno nelle intenzioni, al superamento del romanzo tradizionale.

Perché, fra l’immensa produzione shakespeariana, hai scelto proprio il ‘Sogno di una notte di mezza estate’?

Venivo dall’esperienza abbastanza traumatica del libro sulla follia di Schumann; avevo desiderio di qualcosa di lieve (anche se poi l’innamoramento, s’è visto, non è per niente un argomento lieve e va anzi molto in profondità).

Ogni volta che assistevo a una recita del ‘Sogno’ provavo una doppia invidia. Invidia per la facilità con cui i personaggi s’innamorano e si disinnamorano; invidia per un’atmosfera onirica, trasognata, favolistica.

Ho provato a fare un’escursione in quel campo. Da un punto di vista strettamente stilistico m’interessava lavorare sulla ‘variazione’ a un testo canonico. Affrontarlo, come dicevo prima, da un punto di vista trasversale, imprevisto.

In ‘Com’è trascorsa la notte’ ci sono molti inserti fotografici. Un’vezzo’ che adopera anche Sebald. E’ un autore a cui fai in qualche modo riferimento? O l’uso delle fotografie ha un’altra fonte, è una tua convinzione?

Vengo dalla storia dell’arte e dunque l’immagine è stata sempre per me importante. La mia formazione mi porta a dire: ‘ecco, vi spiego a parole questa cosa che è solo immagine – un quadro, un dipinto,un’architettura. Dunque la fotografia, in primis, mi serve perdeterminare l’oggetto dell’indagine. Il lettore deve averla sotto’occhi e farsene un’idea.

Con le Variazioni Reinach ho aggiunto una valenza molto importante: quell’oggetto, quella fotografia, quel documento sono VERI.

Il lettore deve capire che l’argomento, nonostante sia svolto in termini letterari, attiene alla realtà, al passato, al vissuto. Non è immaginario. Un’altra questione è il rapporto con Sebald che ha profondamente cambiato il mio modo di scrivere e che riguarda qualcosa di diverso rispetto alla composizione mista – testi e immagini – dei suoi libri. In Sebald m’interessa l’inaspettato, il casuale, il fortuito, l’imprevisto. Non lavoro mai con una scaletta preordinata.

Lascio che sia sempre la scrittura a condurmi. A volte per coincidenze o consonanze, a volte per improvvisi accostamenti vado seguendo il percorso così come si forma, in maniera non dissimile da quanto fa Sebald.

Nel libro che sto scrivendo – una sorta di autobiografia attraverso le opere d’arte – questo procedimento è portato alle estreme conseguenze. Nulla è preordinato.Tutto accade in maniera imprevedibile. Scandaglio il profondo e quando si fa questo non si sa mai dove si arriva. Un’esperienza molto stimolante.


Riproponiamo la recensione a ‘Com’è trascorsa la notte‘ inviata da Alessandra Tatine Del Bailo:

‘ Vieni mio signore, e nel nostro volo dimmi com’è trascorsa la notte’. Così Titania si rivolge a Oberon e così ‘Com’è trascorsa la notte’ si intitola la riscrittura che Filippo Tuena ha fatto della celebre commedia shakesperiana. Difficile sostenere che questo libro che rende cristallina la scrittura colta, raffinatissima e controllata di Tuena, sia un romanzo. Personalmente stento a definirlo tale. E’ un racconto, una narrazione alla quale assistiamo, insieme all’autore e alla sua adorata, figurandoci un palazzo lussuosissimo che forse è il palazzo ad Atene del mitico eroe Teseo, è pure il bosco in cui vivono gli spiriti fatati. Da questo palazzo ‘ricco di saloni e gallerie, torri e terrazzi, giardini e fiori ‘, assistiamo a una pluralità di voci che si incalzano, quelle degli attori, quelle dei personaggi, l’autore, la sua amata, la costumista, l’attore che doveva interpretare Filostrato, Puck o l’attore che lo ha interpretato. E’ un racconto che potrebbe procedere all’infinito proprio come riflette, nelle ultime pagine, dopo gli applausi finali, la costumista: ‘maschere e costumi li rimetto nel baule dei teatranti, perché quel che oggi è finito ricomincia domani, più o meno allo stesso modo’.

Realtà e fantasia si riflettono come in uno specchio proprio come accade anche nell’opera del Bardo. Ma Tuena poi se ne separa, gli è infedele, la usa per raccontare la sua di storia impreziosendola con elevatissime riflessioni e appunti, ‘questioni freudiane’, ‘testuali shakesperiane’ e anche ‘apparentemente semplici’. Una storia che non è necessariamente un ‘e vissero tutti felici e contenti’ ma che vira più verso la tristezza cosmica di Titania. Sparisce la leggerezza del Sogno e compare Thanatos. Amore e morte, le due sponde in cui ci dibattiamo tutti. Non sapremo, alla fine, come sia veramente trascorsa la notte. Rimaniamo sospesi ma con la coscienza che di notti ce ne saranno altre. Così almeno promette l’autore nella bellissima dedica alla moglie con cui conclude il libro, ‘questo libro è per mia moglie, per le notti trascorse e per quelle che verranno’.

Share