Fiori e pensieri

Fiori e pensieri

In pittura l’apparizione di un nuovo pittore e come la scoperta di un fiore che non si abbia mai avuto occasione di vedere prima: si è avvinti dal suo colore. Ma per capire la suggestione della pittura bisogna ricordarsi della genesi delle stagioni: siamo in inverno e il mondo ha generalmente un aspetto monocromo. Tuttalpiù, se nevica, predomina il bianco sul grigio, sull’ocra e sul nero che in precedenza formavano i colori basilari del panorama terreno invernale.

Poi tutto d’un tratto al primo spirare dei venti dolci e alla prima tiepida pioggia, forse solo in una notte, si dischiudono le foglie e il verde si diffonde nell’aria con un riverbero, nel cielo velato, come una luce penetrata in una profondità marina.

Da questo momento il senso della pittura domina il mondo e si impone agli uomini. Dovunque si susseguono le dinastie dei fiori, prima sono quelli bianchi e rosati dei frutteti, poi sono larghe distese solfuree del ravizzone, poi il giallo dei ranuncoli. Intanto il verde da tenero e tremulo si fa cupo e più fermo nelle foglie e infine con il caldo deciso sopraggiungono i fiori rossi e gli azzurri. Ogni colore si rafforza e si addensa con il crescere del calore e quando con l‘autunno questo calore si smorza, ritorna al giallo aureo delle foglie, come una fiamma che si riduce in brace per quietarsi nel grigio della cenere. Ogni stagione ha insegnato all’uomo un colore nuovo attraverso un fiore e le piante, è un ritmo che si evolve e si definisce come le zone di un arcobaleno e si pensa che la iride dell’occhio d’uomo sia nel suo variare tra l’uno e l’altro la sintesi dei colori che hanno predominato nella sua determinazione efficiente, come se li avesse rispecchiati e fermati. La pittura nasce dalle stagioni e ogni nuovo pittore è come un fiore che porta con il suo colore una nuova luce.

Foto di PxHere

Avviene talvolta che il destino non voglia si stabiliscano relazioni umane con qualche essere incontrato camminando per la strada e si vorrebbe sapere di lui oltre a quello che il suo sguardo ci fa intuire. Ma una muraglia è stabilita tra noi e non può avvenire l’attimo miracoloso in cui ci si possa comunicare i nostri pensieri con la voce. È come in un acquario quando attraverso al vetro si vedono i pesci nuotare nel loro silenzio e noi li vediamo in pieno mentre essi ci vedono appena se mettiamo una mano contro al vetro dove appressano il muso.

L’altra sera sul finire di un giorno di festa primaverile, vidi sull’altro lato della strada un giovane ciclista che aveva inaugurato i suoi calzoncini corti, la sua vivace maglietta a righe e la sua ansia di essersi messo fuori dalla città dopo l’inverno.

Fischiettava rientrando felice verso la sua casa. Doveva avere rasentato le colline rivestite del nuovo verde, varcato le prime alpi, raggiunti laghi ancora freddi di brividi ventosi e in quel ritorno si perdeva per me nel buio, ma il suo fischiettare con una vaga ebrezza persisteva nell’aria resa docile dai primi tepori.

Il mio pensiero lo ha seguito, ma egli non Io sapeva. Si era sperduto nel buio, nel caos, nel nulla, nella dimenticanza eterna, ma il mio pensiero era in lui, anche molto tempo dopo, anche quando non si sentiva più il suo fischiettare.

Foto di PxHere

Non conoscevo il suo volto palese e quello segreto, ma egli mi era presente e non lo sapeva, non sapeva di me che gli ero come l’aria attorno. Così avviene tra noi e le stelle che noi avvolgiamo del nostro pensiero e la loro fredda luce non sa nulla di noi. Stupiscono certi volti nell’incontrarli, anzi in certi momenti stupiscono tutti i volti che si incontrano per la strada, come non fossero di esseri umani, di esseri della nostra stessa schiatta animale, ma di altre schiatte con le quali non è possibile ingranare alcun linguaggio, alcun utile scambio, alcuna corrispondenza di vantaggio come immangiabili pesci o inservibili quadrupedi inutilissimi volatili. Allora tra noi stessi e quei volti non è possibile sorga alcun sentimento, ma una indifferente crudeltà può liberamente venire a stabilirsi tra noi, tanto che potrebbero tutti morire, liquefarsi nel fuoco senza che minimamente si venga turbati, come per i falciatori d’erba che non calcolano più il valore profondo di ogni fiore e inesorabilmente li sterminano, Per il solo pensiero di tramutarli in fieno. È da questa situazione che può sorgere la crudeltà umana e ne derivano le orrende stragi, le sanguinose carneficine.

Certe volte nell’amore sembra che tutto l’impeto debba scaturire dal solo vedere una gamba o una mano o un barlume dello sguardo o da qualcosa che si delinea appena sotto alle vesti. Poi riuscendo ad avere quella donna tutta per sé, soli e sicuri, totalmente ignuda, non più interessa quella gamba o quella mano o quello sguardo o altro intravvisto.

Questi elementi che ci hanno attratto sono stati come le vie colorate più intensamente in un fiore per attirare l’ape fino al fondo del calice per succhiare il nettare, cospargersi di polline e dopo avere succhiato quel nettare, quel fiore, quella donna non interessa più come prima nelle sue attrazioni intravviste e l’ape non ritornerà più a quel fiore, ma ad altri ancora.

The European honey bee or western honey bee In Flight (Jeff Turner, Wikimedia Commons)

Sovente avviene di metterci a guardare il nostro stesso corpo come non ci appartenesse, si guarda una nostra mano o un ginocchio o le unghie e ci risultano nell’insieme del corpo come la crosta di una conchiglia che noi possiamo aprire e chiudere a un nostro comando e noi vi siamo dentro come una mucillaggine, come qualcosa d’altro. Ma a un certo momento, quello della morte, questa crosta, questo nostro corpo, agisce per un suo comando, si spezza, si sgretola, va per se stesso in frantumi e ci travolge nel suo destino di fine imponendolo anche a noi.

Questo avviene per tutta la schiera anonima degli uomini, che sono come le api operaie, che non sono destinati a creare l’opera d’arte: quel solo vero e degno involucro dello spirito.

Giovanni Comisso

da La Nazione del 18/11/1962

Immagine in evidenza: Foto di Dennis Ariel da Pexels.com

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