Sospetti, passatempi e amenità. Impressioni di viaggio in Oriente di Giovanni Comisso

Sospetti, passatempi e amenità. Impressioni di viaggio in Oriente di Giovanni Comisso

Appena arrivato a Tokio, sceso all’albergo. e scritti il proprio nome e cognome, nazionalità e professione sul registro, c’è un signore giapponese che si sente in dovere di mandarvi il proprio biglietto di visita e chiedervi un’intervista.

Apparentemente è il giornalista tal di tali, in sostanza un informatore della polizia. Vi tempesta di domande dapprima di carattere politico. quindi di carattere pratico. Avendo dinanzi a sé un Italiano egli con alto e geniale raccordo di idee vi domanda la vostra opinione sul sismologo Bendandi. È un piacere deviare questi tipi. Si risponde che si disprezza la scienza, che si ama solo l’arte, che siamo venuti in Giappone per conoscere gli artisti, per ammirare le loro opere, per vedere il teatro e i templi. La sua faccia assume tonalità di confusione quale un contadino che assunto nel ritmo della vita cittadina scopre involontariamente qualche lato della sua insita goffaggine.

Scherma e lotta

Al momento di partire, dopo il soggiorno di un mese, durante il quale, questo sedicente giornalista, seminascosto tra le colonne e le ombre delle sale dell’albergo. ha fatto il suo bravo servizio di osservazione e di ascoltazione e ha passato al vostro cameriere l’ordine perentorio di segnalargli tutte le persone che ricevete e di consegnargli tutte le carte scritte che gettate nel cestino, questo sedicente giornalista verrà ancora a intervistarvi per sapere cosa vi ha più interessato in Giappone, in quale ramo trovate che il Giappone ha superato l’Europa, e un giudizio riassuntivo sul suo Paese. Fu allora che ci si divertì a farlo quasi scoppiare d’orgoglio dicendogli: «Tra la decrepita civiltà cinese e la negativa civiltà americana il Giappone rappresenta un’oasi di perfetta armonia di vita». Questo tocca ad un semplice giornalista; guai a essere, ufficiale dell’Esercito in viaggio di diporto o appartenere al Corpo consolare o diplomatico.

Università imperiale di Tokyo (foto di Kakidai)

In questo caso dovunque si vada ci sarà una persona gentile che si troverà per caso nello stesso scompartimento e smanierà di attaccare conversazione e di prodigarsi in aiuti turistici. Ma il peggio è che la polizia, sfuggente al controllo delle supreme autorità dello Stato, agisce sovente per conto proprio, come un «clan» petulante e vanaglorioso, tutta dedita d’accordo con la stampa a suscitare scandali sulle personalità della diplomazia straniera senza tener conto per nulla se appartengano a nazioni amiche. Con questo l’ospitalità del Giappone assume un aspetto diffidentissimo all’estremo e concreta il disamore.
Un giorno, accompagnato da un professore, mi trovai a visitare l’Università Imperiale e tra le varie cose forse la più interessante era la palestra dove i giovani studenti negli intervalli delle lezioni si addestrano alla scherma giapponese. Sotto il capannone un maestro insegna nello stesso tempo ad una schiera numerosa le diverse mosse e posizioni. Era piacevole vedere questo esercizio nuovo ed energico, ma. appena usciti, uno studente ci corse dietro e parlandoci in francese, cominciò a chiederci con finta noncuranza se ci interessava la scherma giapponese e perché, di che nazionalità fossimo e cosa si fosse venuti a fare in Giappone. Era un informatore che riteneva aver scoperto in noi terribili spie pronte a svelare all’Europa il segreto della scherma giapponese. Il professore che mi accompagnava intervenne spiegandogli che egli era un insegnante dell’Università e che se ne poteva andare. Allora lo studente chiese scusa per essersi sbagliato e se ne andò.

Kyūzō Mifune (a sinistra) e Kanō Jigorō (a destra)

In altro luogo, a Tokio, si danno formidabili lezioni di lotta giapponese. La famosa lotta per difesa dei deboli dove questi riescono a battere un avversario molte volte più forte, sfruttando appunto la sua energia. Nella grande palestra con pavimento coperto di stuoie si possono vedere un centinaio di lottatori scalzi vestiti di tela rozza che si assaltano, si aggrovigliano e precipitano al suolo con tonfi violenti.

Tutto attorno assisi lungo le pareti ve ne sono altri che si riposano e come uno dei lottatori si ritira un altro riposato gli subentra. Ecco uno che lancia con violenza un pugno in direzione dello stomaco dell’avversarlo, ma questi, con una semplice spinta alle gambe, gli fa perdere l’equilibrio e lo fa precipitare a terra dove s’accanisce ad immobilizzarlo. Questa è la principale arma della polizia, ma non ne ha l’esclusività; i deboli amano conoscerla e dedicano ore del giorno per apprenderla; le donne in primo luogo.

Il cinema degli svenimenti

Sumo tournament in Tōkyō 1941

Questa lotta è così pericolosa che non si può fare senza maestro: uno dei colpi più decisivi è di stringere il collo dell’avversario con la parte dura dei polsi tenuti a tenaglia con le mani congiunte dietro alla nuca, in modo da arrestargli la circolazione del sangue verso il cervello e da fargli perdere i sensi. Altro genere di lotta giapponese è quella eseguita da certi lottatori specializzati per puro diletto della folla. Questi lottatori devono essere uomini grassissimi, panciuti e colossali. A questo scopo fin da bambini vengono nutriti di cibo speciale per ingrassare all’eccesso, riso in massima parte. Il quartiere di questi lottatori è un po’ eccentrico, a Rjogoku, attorno al teatro dove si eseguiscono queste lotte.

La lotta consiste in questo: il ring è cinto da un limite circolare fatto di grossa corda fissata al pavimento e i lottatori a colpi di pancia devono lanciarsi fuori da questo limite. Il loro aspetto è alquanto buffo, si lasciano crescere i capelli, ravviandoli in groppo sulla nuca alla foggia antica, una salda cintura di cuoio li cinge alla vita; non solo il popolo va pazzo per tali spettacoli, ma anche lo stesso Imperatore per il quale si recano sovente a Corte a eseguire delle esibizioni eccezionali.

Hongoza Theater, 1915

Ci avevano parlato del cinematografo giapponese come di una cosa degna da vedersi, ma non fummo fortunati nell’esito. Uno dei quartieri più forniti di cinematografi è quello di Asakusa, vicino al parco omonimo. Vi andammo una sera. Le strade allegramente illuminate, fitte di bazar, piene di popolo che va e che viene accompagnato dal ticchettio degli zoccoli, danno l’idea d’una fiera. A ogni angolo vi sono pittori girovaghi che espongono i loro capolavori bislacchi o eseguiscono malcerti ritratti ai clienti fiduciosi. Pittori dalle lunghe chiome, dagli abiti consunti e dallo sguardo fanatico.

Illuminated facade of a restaurant serving traditional food and showing baskets of fresh vegetables at the entrance, Yūrakuchō, Chiyoda, Tokyo, Japan (foto di Basile Morin)

Le piccole trattorie rigurgitano di vivande esposte all’entrata, e dentro i garzoni seminudi s’affaccendano attorno alla cucina. Trovato un cinematografo ci si avvicinò allo sportello per prendere il biglietto, ma non fu possibile farsi capire, infine si lasciò una moneta e si entrò ugualmente. Nessuno protestò, poi si capì che lo spettacolo era gratuito. In un angolo subito si scorse una giovanetta vestita di bianco, si pensò che fosse coreana, sapendo come questo popolo usi vestire di bianco. Lo spettacolo consisteva in una lezione sulla digestione: si vedeva una bocca mangiare, il cibo subire la prima alterazione, poi scendere nello stomaco e via di seguito. A questo film ne successe un altro di un’operazione all’intestino; la cosa in certi momenti assumeva carattere sensazionale e nauseante. Fu allora che ci si accorse come la giovanetta vestita di bianco andava tra i posti a sedere a prendere alcuni degli spettatori svenuti e li portava di fuori dove era installato un servizio di pronto soccorso. Mentre alcuni svenivano, gli altri, i discendenti del samurai e degli impassibili esecutori di sé stessi a mezzo dell’«harakiri», scoppiavano in vivissimi applausi: era un film di propaganda medica.

Commediole coniugali

Scornati si corse a Ghinzab, una delle strade principali, e visto un cinematografo dalla facciata sontuosa si decise di entrare con la speranza di meglio. Anche qui fu difficile avere un biglietto, da ultimo ci lasciarono entrare senza pagare, forse perché lo spettacolo stava per finire. La sala aveva un aspetto da magazzino, non vi erano posti a sedere, vi erano degli ubriachi e il film era qualcosa di monotono accompagnato, più che da un misero pianoforte, dalla voce goffa di uno che spiegava ogni situazione. Il Giappone tiene enormemente al proprio teatro e trascura il cinematografo vedendo in questo un concorrente minaccioso. Più ameno fu un piccolo teatro di campagna a Nikko.

Refreshment stall in Tokyo. Before 1902

Qui si dava un film giapponese. Dietro allo schermo stavano degli attori i quali con le loro voci rendevano parlante la proiezione. Di tanto in tanto il cinematografo cedeva il posto al teatro e allora la trama si svolgeva rappresentata da attori in persona. Il teatrino era pieno di popolo; v’erano scene di alto dolore che suscitavano pianti disperati di bambini e lagrime taciturne di donne. Una di queste, vedendo che s’era forestieri, parlando molto bene in inglese, ci fece un po’ di posto. Allora, per darci importanza, le si parlò dei teatri di Tokio e di aver avuto l’onore di conoscere Sadanji e Kikugoro. A questi nomi ella rialzava ammirata le sopracciglia. A queste donnine giapponesi non pare vero trovare qualcuno che a loro s’interessi e le tratti da un punto di vista quasi di rispettoso sott’ordine come s’usa da noi. È assolutamente impossibile vedere per la strada giovanotti e uomini che si rivolgano a osservare le grazie di una fanciulla, come di scorgere amici o innamorati o sposi accompagnarsi in piacevole conversazione. Se marito e moglie escono a passeggio egli va avanti e lei lo deve seguire ad alcuni passi di distanza umile e silenziosa col carico sulle spalle del bambino. I matrimoni sono raramente d’amore; si compiono a mezzo di intermediari, al solo scopo di dare continuità alla propria famiglia, la quale, secondo uno dei capitali principi buddisti, non deve estinguersi. La moglie deve sacrificarsi per il marito e per i figli. Il marito può avere delle amanti, darsi ai bagordi, la moglie, come lo vedrà rincasare stanco, non lo aggredirà furente di gelosia, ma gli dirà con dolcezza: «Siete stanco mio signor marito? Venite a fare un bagno; io stessa vi farò un massaggio che vi ridonerà il perduto vigore».
Giovanni Comisso

da il Corriere della Sera del 20/07/1930

Immagine in evidenza: Università imperiale di Tokyo (foto di Kakidai)
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