Nel quarto numero della rivista veronese “Magazzino” del 1934 1 veniva pubblicato un testo di Italo Donatelli (1888-1959) che ricordava, della sua presenza all’impresa di Fiume, la rivista “Yoga” e la serie di “tiri birboni” progettati (ad es. il Castello d’amore) e realizzati dai legionari aderenti al gruppo yoghi 2. Donatelli all’interno del gruppo che redigeva il “giornale settimanale” era incaricato “della funzione di censore privato dell’«Ordine Spirituale» letterario, perché la pubblicazione avveniva alla “macchia”, quindi era uno dei collaboratori che, pur attivi e garanti della vita di “Yoga”, non figuravano in nessun modo: nemmeno con uno pseudonimo, come facevano di prassi gli autori dei testi.
Di “Yoga”, rivista di cui esistono solo pochissimi esemplari nelle collezioni pubbliche, è stato di recente edito a cura di Simonetta Bartolini l’intero pubblicato 3, con il riconoscimento anche dei nomi degli autori: quasi tutti gli articoli, tranne qualche inserto “dall’esterno” (come i testi di Filippo De Pisis, e le riprese di testi di Friederich Nietzsche, Giuseppe Mazzini, e del legionario Costantino Cattoi) sono frutto delle penne di Giovanni Comisso e di Guido Keller. Alla rivista si affiancava anche una serie di quaderni coordinati dal futurista Mino Somenzi; il primo quaderno, intitolato Il ballo di S.Vito, vedeva la collaborazione di Forti, di Léon Kochnitzky, di Ottaviano Targioni Tozzetti, dello stesso Comisso, di Piero Belli, di Cesare Cerati. Un bel gruppo di teste calde, insomma, che Comisso aveva in più occasioni ricordato, ricostruendo le fasi della nascita anche della rivista. 4
Vita breve, quella della rivista. Il 4 dicembre 1920 esce il numero quattro, con data 27 novembre 1920, recante l’invito a tutti i fiumani a partecipare ad una festa di fine anno. Ma di là a pochi giorni finirono sia la storia della rivista che l’avventura fiumana, e quest’ultima in modo tragico. Il 9 gennaio del 1921 tra i firmatari del proclama rivolto ai cittadini di Fiume dal tenete Almerigo Ongaro dopo il “Natale di sangue” 5, “per tutti i legionari” c’è anche la firma del Cap. Italo Donatelli, che firmava così anche la fine di una stagione culturale assai innovativa.
“La Yoga” di Italo Donatelli
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«Si invitano gli spiriti puri della razza italica a collaborare con espressioni di pensiero ed arte nella manifestazione dei primi segni del nostro classificismo, dei primi afflussi del nostro prossimo meriggio» (La Yoga)
Era simultaneamente – un ordine spirituale nella Città di Fiume – una unione; – un giornale.
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«Unione nel senso più aristocratico della razza; di quella aristocrazia che da Ronchi a Fiume oltre il Carso, oltre all’acciaio, colle mascelle quadrate dal dominio del volere più forte della morte, ci ha portati in pieno giorno ad annientare l’Europa… Unione libera di spiriti in Fiume: GRIFONE ITALICO!».
Letteralmente così. nel bando programmatico l’annunciava Guido Keller che attraverso la Yoga ed i yoghi mirava al superamento delle razze e delle parti, in un governo dei migliori suscitato dal conflitto di tutte le idee.
La svastica era il segno ed il suo simbolo, unitamente al fiore di loto.
Questa croce uncinata ad angolo retto con movimento da oriente non aveva nulla a che vedere con quella di Germania: anzi aveva ideale opposto: superare le razze – superare i partiti.
La svastica isolata – a serre – in colonne – in linea di fronte era inizio o suggello agli articoli.
A le sue pale: molinello idraulico, travolgere gli oppositori; macinare la semente: idee nuovissime; maciullare le scorie : i retrivi.
Erano Yoghi: un’aquila dinarica, Guido Keller, Giovanni Comisso, Guido Comessati, Mino Somenzi, Adami junior ed altri di cui oggi non rammento il nome.
L’aquila vigilava le adunanze, Keller la presiedeva. Somenzi pubblicava la raccolta dei: «Quaderni della Yoga», ed io ero stato incaricato della funzione di censore privato dell’«Ordine Spirituale» letterario, perché la pubblicazione avveniva alla macchia.
Oggi ho sott’occhio alcune di quelle bozze – tanto ben curate nei caratteri e posso scriverne ricordando fatti e gesta di quel gruppo futurista fiumano.
Keller non ha bisogno di presentazioni. Viveva allora il suo ardore disdegnosamente. Appartato dal comando. Si era ritirato fra Città Vecchia e Cosala.
Dormiva il giorno in una casa di Diogene, contubernali gli erano una aquila dinarica e un somarello dalmatico cieco da un occhio, quello recato in volo da Zara.
Calava, alla notte, in città – verso il porto, con un sacco e un bastone, a caccia di zoccole e di gatti per i pasti della sua ospite reale; od ululava fra le tombe a spavento dei «vivi morti».
Mino Somenzi pensava al suo monumento all’ancora, ed ai nostri quaderni. Giovanni Comisso si preparava a scriver di vita marina con assidue vogate in Carnaro; e Comessati portava ai raduni la sua esilità distinta, e la parola che sapeva cogliere la più aristocratica delle espressioni. Giuseppe Adami junior si proiettava, impetuosamente, giovanile, contro ogni ostacolo, od ombra di ostacolo.
Ascoltava di rado interloquendo il censore. L’aquila saldamente piantata su i suoi arti- gli lanciava gridi rauchi. Stirandosi a sgranchire le ali mostrava tutte le penne dalle remiganti maestre alle minori sventagliando il tuo timone di profondità.
Così descriveva Keller ai lettori le riunioni.
«Un’aquila trovata nelle dinariche presenzia alle adunanze. Lo stile e la forma della azione sono elette dalla bellezza, e vi obbediscono. Nel centro della Città vecchia di S. Vito v’è la piazza delle adunanze. Un grande albero protegge nella sua pienezza l’armonia del parlare. La vita è a contatto diretto col pensiero: tra una discussione e l’altra si intromettono le donne delle case vicine con le loro faccende e i bimbi coi loro giochi e le case coi loro aspetti di ombra e sole».
Ed invitava tutti anche gli ostili alla Yoga ad intervenire.
«I nostri avversari sono i nostri migliori amici, che sono sin d’ora cortesemente invitati». E spiegava il suo verbo: «La YOGA vede nella differenziazione che ricerca e pone in continua cavalleresca tenzone un mezzo consistente di scoperta, affermazione e splendore. Tutte le più contrarie sorgenti di energia al nascere devono cozzare istantanea- mente l’una contro l’altra per rendere la giusta dirittura e per avere il senso di se stesse nel mondo».
Ma oltre alle grandi idee sconfinate che balenano nella mente di Guido Keller, quali il superamento delle Razze e delle parti, egli allora ne stava ventilando una più modesta e concreta: «Il Castello d’Amore» – ovverosia – l’esodo beffardo «delle ostriche».
In quell’anno 1920 venivano chiamati in Fiume: ostriche: tutti coloro che tradizionalisti nelle midolla non sapevano vedere più in là del loro naso, e del loro utile personale; e tutti coloro che si aggrappavano al sediolino occupato tenacemente, smargiassando vecchie ideologie teoriche di vecchi sorpassati partiti, e non sapevano pensare: a nuovo. Guido Keller considerava questa zavorra la cancrena dell’impresa; e fantasticava rapirla sul «Castello d’Amore».
Doveva esser questo una grande zattera adornata in modo fantastico; una specie di Bucintoro solo che lo stile doveva essere nuovissimo, futurista.
Invitati un bel giorno all’inaugurazione del «Castello» natante le ostriche dei due sessi, salparle e abbandonarle agli elementi, o sbarcarle in isolotto disabitato del litorale.
Il «colpo di mano» non fu attuato, ma dei tiri birboni la Yoga ebbe a farne parecchi.
Eccone due:
Un giorno fu osservato a passeggio per Fiume in giubba aperta da ardito uno che con gli arditi nulla aveva a che fare: Egli aveva sostituito le sue arci sedentarissime mostrine di guerra con le fiamme nere. Senza che il povero anastasio nulla ne sapesse la Yoga stampò e lanciò su piazza Dante all’ora del passeggio nubi di manifestini policromi. Alla domanda proposta, pasquinescamente rispondevano:
« – Chi è il tal dei tali?
« – È l’ardito dalle fiamme ossidriche».
Polizia e comando fecero perquisizioni infruttuose; minaccia di espellere tutti i yoghi. E per tutta risposta altre nubi policrome che ammonivano.
« – Non seccateci i … che per quanto ROSSI o ROSSOTTI sono ancora SANI SALVI VITALI».
Un cognome (al posto dei puntini) sostituiva gli attributi della virilità; e gli aggettivi erano altrettanti cognomi di alti papaveri.
Fu allora che venne in uso fra i yoghi di malaugurare ai contrari e a gli ostili servendosi di una volgarissima espressione croata, cui si aggiungeva rimando: «se non ami la Yoga!». Questa nei suoi scritti programmatici si rivolgeva: «A tutti gli spiriti nuovi e rinnovati della razza italica!» e preveggendo oggi affermava: «Dalle sorgenti del nostro spirito, riposanti all’ombra dei secoli, già scaturiscono i segni d’una prossima grandezza. Al di là delle preoccupazioni di bene avere e bene stare, al di là del godimento limitato alla forma e alla quantità, nella gioia danzante data dall’orgoglio per la nostra razza avanzante in ascesa nel futuro, innalziamo fin d’ora per tutti gli amici il nostro ardente saluto».
Invocazione al presente nostro vivere, sintesi del passato, vaticinio esattissimo rileviamo nello scritto: «Del Discutere. Dei Giovani. Del Governo» 6: «Noi vogliamo cose e princípi mirabili! Le razze negative a mezzo di quella grande coreografia antilatina che è stata la Rivoluzione Francese ànno in parte falsato i nostri gusti e prefisse altre mete. Oh esse sanno che la somma dei nostri principi e delle nostre cose dà un impero!»… Così in Fiume d’Italia l’anno MCMXX – alla vigilia della proclamazione della Reggenza Italiana del Carnaro.
ll Mas di Buccari al Comando di La –Scala portò il censore all’isola di Veglia. Se altri ricordano più minuti episodi o scritti della «Yoga» ne parlino. Contribuiranno alla storia di questo: «Ordine spirituale della Città di Fiume» e se pure sarà piccola storia affermeranno la: «Bellezza! Ardere d’Ardore!» nel grande rogo della passione fiumana.
Immagine in evidenza: Gabriele D’Annunzio (al centro con il bastone) con alcuni legionari a Fiume nel 1919 (fonte: Wikimedia Commons)
- Sulla storia della rivista Agostino Contò, Una rivista del futurismo veronese:”Magazzino”, «Atti dell’Accademia roveretana degli Agiati. Contributi della classe di scienze umane, lettere ed arti», a.251 (2001), serie VIII, vol I, A. pp.253-271.
- Italo Donatelli, Yoga, «Magazzino», a. I, n. 4, maggio 1934, pp. 17-19
- Simonetta Bartolini, “Yoga”. Sovversivi e rivoluzionari con d’Annunzio a Fiume, Milano, Luni editrice, 2019
- Giovanni Comisso, Le mie stagioni, in Opere, a cura di Rolando Damiani e Nico Naldini, Milano, Mondadori, 2002, in particolare 1156-1162.
- Riportato in appendice a Pietro Bàrbali, Ricordo del magg. Gualtiero Santini e dei suoi bersaglieri, «La voce di Fiume», a.XIV, n.9 (25 ottobre 1979), p.5
- E’ il titolo di un articolo apparso nel numero 1 di “Yoga” (13 novembre 1920, a p.3). L’articolo è siglato con il simbolo dell’infinito (∞), che era la firma usata da Giovanni Comisso.. Comisso lo riporta integralmente anche in Le mie stagioni, cit., p.1158-1161.