"La cagnetta di Carpaccio" di Giovanni Comisso

La cagnetta di Carpaccio

La concomitanza con l’apertura della mostra “Vittore Carpaccio – Dipinti e disegni” (18 Marzo – 18 Giugno 2023) negli Appartamento del Doge di Palazzo Ducale a Venezia è la giusta occasione per proporre questo articolo che Giovanni Comisso scrisse per La Nazione del 18 gennaio 1965.
Profondo conoscitore d’arte e grande estimatore dell’opera del Carpaccio, Giovanni Comisso fa riferimento a due opere del pittore veneto. La prima è “Miracolo della Croce a Rialto” (o “Guarigione dell’ossesso”), la seconda è “Sant’Agostino nello studio” (o “Visione di sant’Agostino”). In ambedue le opere è presente un cagnetto, di pelo bianco, un “volpino italiano”, che Comisso, molto probabilmente a ragione, ne attribuisce la proprietà proprio al Carpaccio.

Si abitava in città e si aveva una cagnetta che chiamavo la cagnetta di Carpaccio, perché in due suoi quadri una vi è figurata identica. Nella grande tavola con il ponte di Rialto appare in gondola con un nobiluomo, e in un altro quadro rappresentante un religioso nel suo studio, la stessa cagnetta, che probabilmente viveva con il pittore, sta mezza accucciata sul pavimento con la testa appena sbandata attenta e interrogante. È una posa schematica, precisa, repetibile, come una formula di un minerale, dovuta al pelame spiovente sugli occhi così che lo sguardo risulta come quello di un ragazzo che spii tra le ramaglie di una siepe.

Il suo primo amore fu con il cane del fioraio. Ebbe alcuni cagnolini che seguirono la loro sorte: le femmine vennero annegate per non sfinirla, due vennero regalati, ad amici e l’ultimo ci fu rubato. Il cane del fioraio venne a vedere i figli, li annusò e per lungo tempo ritornò sempre fedele a salutarla.

Poi si andò ad abitare in campagna e la cagnetta di Carpaccio fu sempre inquieta fino a quando prese consapevolezza delle abitudini nella nuova casa.

Vittore Carpaccio – Miracolo della Croce a Rialto, 1496 (Wikimedia Commons)

L’estate non voleva finire. I semi di pomidoro buttati a luglio con le immondizie nel letamaio avevano germogliato e ne erano uscite le tenere pianticelle come a primavera. Le mosche si erano fatte insistenti e ne avevano procreato di novelle, piccole e vitalissime. Avvicinandosi la sera, quando mi mettevo la cravatta per uscire, la cagnetta di Carpaccio assumeva la sua posa schematica, interrogativa e mezza accucciata, mi guardava. Di certo il mettermi la cravatta al collo corrispondeva per lei mettere il collare ed era segno che si andava fuori.

Voleva uscire con me e la portavo a cena da amici, era un divertimento mondano per lei. Così aveva conosciuto il bassotto del mio amico Franco quando andavo alla sua villa e giocavano innocenti. Mi ero accorto che pure con il buio della notte essa capiva che la direzione presa con la macchina era quella della casa del suo amico e si faceva attenta al finestrino. All’arrivo saltava subito giù e si rincorrevano, ma quel cane, che era molto giovane, guaiva lamentoso nella sua incomprensione d’amore.

Vittore Carpaccio – Miracolo della Croce a Rialto, 1496 (dettaglio, Wikimedia Commons)

Da qualche giorno la cagnetta prese subitanea ad abbaiare come in allarme, ma non vi era alcuno di fuori. Pareva che sentisse nell’aria le voci come Giovanna d’Arco, o avvertisse qualche spirito vagante. In seguito quelle voci presero forma in un cagnetto di pelo rasato, si guardarono, si annusarono e presero a rincorrersi per il prato. Un mattino attratto da docili guaiti andai a vedere: si amavano. Guaivano dolorosi entrambi. Si amavano e piangevano. Nella notte il cagnetto rimasto di fuori piangeva ancora disperato e voleva rivederla. Le forze profonde ed oscure dell’amore erano venute a galla e imponevano il connubio a quei due cani esasperandoli. La cagnetta rimasta ignara ed estranea, attratta solo dal gusto di muoversi, di uscire di casa, di rincorrersi con il bassotto o con altri cani del vicinato, ora doveva essere amata. Non essi volevano congiungersi, ma quelle forze oscure della terra o del cielo lo imponevano a loro, penetrando autoritarie nel loro corpo. Qualcuno li faceva muovere e imponeva il connubio; severo, atroce, arbitrario si serviva di loro per un suo calcolo di fredda contabilità universale senza neanche ingannarli con il piacere. Si amavano e piangevano, guaivano, come a un comando scandito a colpi di frusta. Il tempo ne era rotto, a quella estate illusoria era subentrato l’autunno con una pioggia ventosa che aveva ingiallito le foglie. Durante la notte intesi i guaiti del cagnetto che era all’aperto, al mattino lo vidi bagnato come fosse uscito da un fiume. La cagnetta dormiva quasi per assecondare le forze occulte che erano penetrate nel suo corpo. Ma un giorno andati in città con la macchina il cane del fioraio venne attorno e quando si ripartì ci corse dietro ostinato fino alla casa di campagna, dove ritrovò l’amica vicina all’altro cagnetto. Furenti ringhiavano l’uno all’altro e cercavano di mordersi invasati di furore mentre l’altra alle mie minacce scappava dentro alla casa. Fu necessario caricare nella macchina il cane del fioraio e riportarlo in città. Amore e gelosia, come negli esseri umani fino a sbranarsi, fino al delitto.

Vittore Carpaccio – Visione di sant’Agostino, 1502 (dettaglio, Wikimedia Commons)

Chi li guida, chi ci guida, chi ci comanda? Come è facile figurare queste forze oscure, come un mostruoso essere oceanico dagli innumerevoli tentacoli che si diramano in filamenti quasi invisibili per arrivare ad avvinghiare e a smuovere gli esseri innumerevoli fino alle mosche che si erano propagate perché l’estate non finiva. Guardavo un albero da frutto sovraccarico e stavo per pensare che è meglio per i frutteti ai quali quelle forze ordinano l’amore a primavera tra un tripudio di colori e di profumi, senza piangere, senza guaiti, senza delitti, ma mi accorsi che il peso delle frutta aveva spezzato i rami e la pianta guaìva.

Nel pomeriggio venne l’amico Franco con il suo bassotto ignaro e bambinone, ma subito aveva avvertito nell’aria la tragedia. Per prima venne aggredito dal cane dal pelo raso che stava come di guardia e fu necessario districarli con un bastone. La cagnetta attendeva fingendo di sonnecchiare, quando si incontrò con il bassotto, questi si accorse che non era più tempo di giochi e guaì disperato, volendo a anch’esso fare quel connubio di cui non aveva mai saputo prima. Fu necessario separarli in camere diverse e minacciarli. Allora con il mio amico si rimase muti a pensare. Noi avevamo incarnato lo schema del carnefice.
Giovanni Comisso

da La Nazione del 18/01/1965

Immagine in evidenza: “Vittore Carpaccio – Sant’Agostino nello studio” o “Visione di sant’Agostino”, 1502, tempera su tela, 141×210 cm, Scuola di San Giorgio degli Schiavoni, Venezia (fonte: Wikimedia Commons, dettaglio)

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