Le maschere carnevalesche di Tolmezzo aspettano un soffio di vita per sorridere - Il viaggio in Carnia di Giovanni Comisso

Le maschere carnevalesche di Tolmezzo aspettano un soffio di vita per sorridere – Il viaggio in Carnia di Giovanni Comisso

In questo mio viaggio per la Carnia sono andato in cerca dì simboli rivelatori dì profonde essenze di questa terra. Ma nel museo carnico a Tolmezzo, più che simboli ho trovato due immediate realtà.

E’ questo museo in un vecchio palazzo, la polvere e i tarli vi si addensano sui mobili e sugli attrezzi artigiani, è difficile aprire le porte come se non vi entrasse mai alcuno. Vi sono state ricostituìte la cucina e la stanza da letto carnìche, ma quello che colpisce d’un tratto con meraviglia assoluta è una collezione dì maschere carnevalesche di qualche secolo addietro.

Sono tutte scolpite nel legno e di una potenza caricaturale formidabile, quando l’espressione non sia dì acuta penetrazione dì carattere.

Da quando vidi in Giappone le maschere per le danze famose, non ho mai visto qualcosa di più interessante di queste della Carnia.
Da sole meriterebbero un viaggio se fossero meglio esposte e più ancora se fossero rese vitali usandole talvolta in rappresentazioni rievocate.

Queste maschere dimostrano una forza di fantasia in questa gente mirabile, la cui radice dispersa va ricercata perchè dia nuove opere, e dimostrano ancora che non sempre la tristezza è stata lo spirito dominante di queste valli. L’altra realtà consiste in un quadro che documenta una prodigiosa attività industriale di questo paese, nel Settecento.

© Archivio fotografico del Museo Carnico delle Arti Popolari “Michele Gortani”

Il quadro rappresenta sullo sfondo del paesaggio di Tolmezzo uno stuolo di tessitrici assise al loro lavoro sotto la vigile sorveglianza dì un industriale di quel tempo che si chiamava Jacopo Linussio. Fioriva questa industria occupando tremila operaie e producendo all’anno ventimila pezze di cotone, dì seta, di raso e dì damasco che si smerciavano in tutto il Veneto e da Venezia finivano anche in Oriente. Nel museo vi sono alcuni tipi di queste stoffe e sono ancora della più bella fattura, ma quell’industria è tramontata e nessuno pensa dì farla risorgere.

Palazzo Campeis, Museo carnico delle arti e tradizioni popolari Michele Gortani (foto di Sebi1, Wikimedia Commons)

Per risolvere il problema della risollevazione dalla miseria di questa zona montana, con circa centomila abitanti, dopo la guerra si è costituita la Comunità Carnica riconosciuta dal Governo come ente morale. Questa Comunità raccoglie in Tolmezzo i rappresentanti di ventotto Comuni formanti un’assemblea dalla quale viene eletta una giunta esecutiva. Le riunioni avvengono due volte all’anno, ma effettivamente non fu raggiunto lo scopo di risolvere uno solo degli incubi che rattristano la Carnia. Questo dipende dal fatto che i rappresentanti dei Comuni invece di porre i problemi su di un piano pratico, lo pongono su di un piano politico e anche perchè lo spirito eccessivamente individualistico di ogni Carnico, ingigantito nel rappresentante di ogni Comune, finisce con l’impedire una socievole fusione nell’assemblea. Ogni Comune vede un nemico e un concorrente nell’altro; e tutti finiscono col trovarsi solo d’accordo nell’accanirsi contro il capoluogo giocando sul suo nome di Tolmezzo che tramutano in Toltutto.

In questo modo la Carnia rimane coi suoi problemi essenziali di vita insoluti, mentre il tempo passa rapido e le nuove generazioni si sovrappongono amareggiate. In questo modo le ampie ferite compiute nelle foreste per opera dei liberatori rimangono insanabili non provvedendosi al rimboschimento, in questo modo non sì riesce ad imporre la fattura di formaggi tipici che, coi buoni pascoli esistenti, assicurerebbero uno smercio fiducioso. In questo modo non si fa nulla per specializzare le masse operaie dedite all’emigrazione temporanea, le quali dopo quindici anni di guerra sì trovano ignare d’ogni mestiere.

Si pensi che di recente erano siati richiesti dall’Inghilterra duecento tagliapietre e in tutta la Carnia fu solo possibile trovarne sette. In questo modo le cave di marmo assai belle dei monti Verzegnis e Timau vivacchiano pigramente e ogni altra industria è quasi ignorata pure con l’abbondanza di corsi d’acqua che rendono viva ogni valle. Poco o niente si fa da parte del Governo per sollevare queste terre coi suoi numerosi abitanti, sempre pronti ai massimi sacrifici durante tutte le guerre, ma poco o niente si fa anche da parte degli stessi Carnici per industrializzarsi ed uscire dalla loro triste situazione, attendendo come una manna che il turismo venga a portare il benessere o che la linea ferroviaria da Trieste a Berlino venga a passare per la valle del But.

Statua di Jacopo Linussio, Paularo (foto di Laky 1970, Wikimedia Commons)

Il Carnico è tenace, lavoratore e parco, ma oggi manca di uomini della tempra di Jacopo Linussio che sappiano iniziare un lavoro e sostenerlo impiegando migliaia dì operai. Attualmente essendo limitata l’emigrazione per mancanza .di operai specializzati il numero dei disoccupati è salito a seimila e due imprese di lavori, quella della sistemazione delle strade e della costruzione dei bacini idroelettrici, in attuazione su tutte le zone montane, terranno occupati solo per qualche anno un certo numero di operai.

Anche le segherie occupano altri uomini, ma ad un certo giorno, se non si rimboscano le montagne spogliate, anche questo lavoro cesserà e il futuro prossimo sarà assai più triste del presente. Questa gente tenace, lavoratrice e parca sta sul limite di perdere tutte le speranze in una vita migliore e attende un atto di fiducia da qualsiasi parte: dal Governo, dai suoi propri enti e dal capitale privato. Più che triste è ingrato vedere una popolazione di confine completamente abbandonata a questo punto, mentre entra In uno dei sistemi più elementari della vita: tenere sollevato e in buone condizioni quanto deve immediatamente figurare al cospetto degli altri.

Un’azione immediata, come la respirazione artificiale che si pratica su chi è stato appena tratto dalle acque dove era precipitato, è quella di provvedere ad avviare ì giovani verso uno specializzazione di mestiere attraverso una scuola industriale molto più attrezzato di quella oggi esistente in Tolmezzo.
Una scuola che insegni ai giovani a spaccare le pietre, a costruire le case, e lavorare il legno e il ferro, che insegni tutte le attività utili dall’elettrotecnica all’apicoltura e a fare ottimi formaggi.
Questa scuola potrà sanare la frattura generata da guerre continue che hanno allontanato nei padri ogni possibilità di apprendere, deprezzandoli nella possibilità di essere richiesti dai paesi stranieri e avvilendoli nell’incapacità dì fare quel minimo necessario, persino per la propria casa.

Solo da questo punto di partenza la Carnia amara potrà incominciare a sorridere e rifare nuovamente altre maschere carnevalesche, come negli antichi tempi, per scene e danze che attestino la gioia di vivere.

Giovanni Comisso

da Milano Sera del 18-19/05/1950.

L’immagine in evidenza, le immagini delle maschere e dell’opera con Jacopo Linussio sono © Archivio fotografico del Museo Carnico delle Arti Popolari “Michele Gortani”

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