Erto (Alto Friuli).
Sovente mi toccava di imbattermi nella pianura veneta con donne che spingevano un carrettino e sopra vi tenevano utensili da cucina fatti di legno o ceste o stracci. Calzavano scarpe di stoffa che rendevano leggero il loro passo, un fazzoletto stringeva i capelli dando un poā dāombra sullo sguardo avido, rosse di sanezza alle guance. Venivano in cerca di grano da barattare coi loro utensili ed erano raramente accompagnate da qualche ragazzo. Chiedevo di dove fossero e mi rispondevano: di Erto. Mi dicevano che il loro paese era bello, che vi si respirava aria buona, ma che non dava loro da vivere: solo patate e latte e legna, ma tutto il resto doveva essere portato da fuori. Gli uomini emigrano per tutte le parti dāItalia, da quando le frontiere sono chiuse e prima emigravano per tutto il mordo. A custodia della casa e del pezzo di terra stanno i vecchi, le donne e i bambini, e le donne che sono le più valide debbono scendere alla valle per procurare il pane e la polenta in cambio di quegli utensili che durante lāinverno tutti assieme traggono con le loro mani dal legno dei loro boschi. Decisi di andare a questo paese che si trova tra la provincia di Udine e quella di Belluno intanato tra montagne aspre sulla sinistra del Piave. Bisogna scendere a Longarone e da qui si prosegue a piedi per una strada che si inerpica entro a una valle strettissima e profonda, tutta di roccia stratificata, una spaccatura vertiginosa praticata tra due monti da ghiacci o da scoscendimenti in epoche lontanissime dalla storia. Ad un punto la strada dopo essersi internata in gallerie sorpassa la valle su di un ponte che ĆØ il più alto dāItalia, da qui la valle si allarga e poco dopo si arriva al paese costruito di case massicce di roccia che nellāadesione della calce ha ripreso il colore e lāaspetto delle pareti montane da cui fu tolta. Le case sono tutte unite le une alle altre lungo la strada e formano ai lati un dedalo di vicoli. Si sentiva nellāaria il buon odore della legna di faggio che veniva bruciata sui focolari e gli abitanti passavano leggeri sulle scarpe di stoffa fuggenti nellāombra della sera.

Come si entra nelle case e si incomincia a parlare con questa gente tra un bicchiere di vino e una patata (patate squisite, dense e dolci) subito ci viene raccontata la storia recente di questo paese.
Dopo il settembre del 1943 vissero per un certo tempo tranquilli nellāisolamento dal resto del mondo e fu appunto questo isolamento a riescire fatale per Erto, chĆ© fu scelto come luogo di rifugio dai partigiani.
Da allora incominciarono giorni orribili attirando quassù tedeschi e bande nere pronti alle rappresaglie. Per assicurarsi da queste incursioni i partigiani fecero saltare il ponte della valle e i tedeschi imposero al paese di ricostruirlo entro ventiquattro ore altrimenti il paese sarebbe stato bombardato. Ed entro ventiquattro ore questi uomini lo costruirono, con la disperazione con lāardimento che sono loro propri.
Sono uomini che vivono da secoli sotto minacce simili, ma suscitate dalla natura: valanghe e la quotidiana lotta per la vita. Gli uomini validi e le donne trasportarono sul posto i tronchi dāalbero, e sospesi nel vuoto legati alle funi, i più audaci puntellavano Ƭ sostegni indifferenti allāabisso. La lotta continuò ancora e per terrorizzare questo recondito nido di partigiani i tedeschi incominciarono a sparare il cannone dalla valle del Piave obbligando la gente a vivere lontano dalle sue case. Altre furono incendiate, i favoreggiatori furono parte deportati in Germania, parte torturati ed uccisi. Permane come un incubo questa triste storia recente ed ĆØ come un senso della neve sui pendii dei monti, quando oramai si ĆØ sciolta alla prima forza del sole, ma se ne vede ancora la impronta sullāerba avvizzita.
La storia lontana ĆØ oscura, con tutta probabilitĆ questo paese fu fondato da una colonia ladina, parlano in parte il dialetto friulano ed ĆØ curioso come abbiano tra le consonanti la Ā«thetaĀ» greca. Al mattino col sole che ritarda ad apparire perchĆ© deve superare le montagne ĆØ una meraviglia il rosso giallastro dei baschi di faggio prima della caduta delle foglie, un colore di mela dāinverno. Gli uomini sono frementi al lavoro, a caricare sacchi di patate su autocarri, a scaricare sacchi di farina, a caricare legna su altri autocarri, a innalzare teleferiche per la calata dei tronchi dai boschi lontani.

Si cammina fuori dal paese nel tepore del sole e sul lato della strada ogni tanto si avvertono delle croci in ferro o in pietra e brevi lapidi dicono di gente morta in anni lontani per essere scivolata nei sottostanti burroni. Ve ne sono per tutti i sentieri e fanno pensare come ad unāattrazione di questa gente verso la morte con la stessa forza come sono attratti verso la vita pur nellāaspra durezza.
Al di lĆ del torrente dove il sentiero frana paurosamente una lapide ricorda un soldato che pur avendo sfuggita la morte in quellāaltra guerra, sul Carso, venuto in licenza, una sera, precipitò perdendo la vita, che forse aveva asĀsaporato nellāultimo convegno dāamore. A parlare con questa gente si sente in essa una mente solida come la cima delle loro montagne sulle quali sembrano essersi modellati.
Un vecchio che sapeva di dovere morire per un cancro al fegato che lo dilaniava, sorridendo disse: ā Cosa volete, ormai la mia vita lāho vissuta. Un altro parlando del figlio giovanetto che aveva la sua amorosa: ā Uomo ĆØ, e io pure ho cominciato alla sua etĆ . E tutta lāavarizia di questa terra a dare solo patate, legna e roccia si ĆØ palesata nella piccola Eleonora che alla madre che aveva avuto giĆ tre figlie diceva che sperava di avere presto un maschietto, contraddisse fissandola cogli occhi cinerei: ā Non lo voglio. ā PerchĆ©? ā ribattĆ© sua madre stupita. ā PerchĆ© poi lasciate tutto a lui e a noi niente. ā Spiegò Eleonora e aveva undici anni.
Giovanni Comisso