Una professione normale. Impressioni di viaggio in Oriente di Giovanni Comisso

Canton, marzo

Nuovamente in compagnia del nostro Scrittore, fermo a Macao da febbraio, ci troviamo ad affrontare un incredibile viaggio nella terra dei banditi, seguiamolo…

A Macao, in una stradicciuola al sole, vi è una palazzina graziosa, dipinta innocentemente di celeste, la porta verniciata: di mattina si vedono le serve che fanno pulizia, alla sera e per tutta la notte si sente il ticchettio del magiong; la luce trapela dalle finestre.

E’ l’abitazione d’un capo di banditi. Egli vive tranquillo e incensurato sotto la protezione del Portogallo; la sua banda opera in territorio cinese e di tanto in tanto gli arrivano pesanti casse sbarcate dalle sue giunche: rappresentano il reddito della sua professione.

Il gusto della pirateria e del banditismo, insito nel popolo cinese dalle origini, oggigiorno fiorisce più vasto che mai favorito dalla situazione politica instabile e raggiunge forme inconsuete di minaccia date le armi perfettissime fornite dalla complicità immediata di mercanti americani, in massima parte, ed europei anche.

Sono celebri nella storia le azioni di certi pirati cinesi del medioevo, come Coxinga e Chang-So-Lao,  che osarono prendere d’assalto grandi città e regioni.

Nel paese dei banditi

Specificatamente, i colpi di pirateria e di banditismo come avvengono ora, si organizzano e si manifestano a questo modo. Le innumerevoli linee di navigazione costiera e fluviale sono percorse da battelli a vapore o da grosse giunche di legno pure a vapore.

Sovente i pirati riescono a infiltrarsi a bordo come passeggeri: i capi magari in prima classe, la banda in terza. In località prestabilita vi sono giunche appostate sulla rotta.

Appena avvistate, passa un segnale: i pirati balzano fuori, tentano di salire sul ponte di comando, difeso da inferriate, impongono la borsa o la vita e, fatto il bottino, s’imbarcano sulle giunche e si dileguano.

Una di queste bande tuttora in attività di servizio nella BiasBay, vicino a Hong-Kong, è brillantemente capitanata da una donna.

Il banditismo batte le campagne, i nodi importanti di comunicazione e non limita la sua opera nemmeno nell’interno delle città. Tutti in genere possono improvvisarsi banditi, quando già non lo siano trovandosi al soldo di qualche ricco o per organizzazione stabile.

Lungo le strade, vicino alle stazioni ferroviarie, alle porte dei villaggi vi sono baracchine dove si vende il tè: lì sostano dei ragazzi dall’apparenza distratta e oziosa che osservano accuratamente ogni passante. Individuato il danaroso, vanno a dare il segnale con banderuole alla banda appollaiata sulle vette dei monti vicini, che piomberà sul malcapitato. Le spie e le bande si improvvisano dovunque si presenti l’occasione. Un funzionario parte col denaro destinato alla paga dei soldati: sarà il suo segretario stesso che organizzerà il colpo.

Non si accontentano di derubare il prigioniero; sovente, se sanno ricca la famiglia, lo trattengono in ostaggio richiedendo forti somme per il riscatto e inviando come sollecitazione una sua orecchia. Le bande stabili sono compagnie di cinquanta, cento uomini o reggimenti di duemila, di tremila (ve n’è una che agisce nella zona di Tung-kung vicino al fiume Tung-chiang che consta di diecimila uomini) e arrivano ad essere armate di cannoni e di mitragliatrici.

In massima parte sono composte di elementi di scadentissima costituzione fisica: giovanotti guastati dall’oppio. Nelle taglie che essi impongono c’è sempre, oltre ad una parte in denaro, una parte in oppio.

Diviso il bottino, passano le ore di riposo sulle cime dei monti in capanne, giuocando accanitamente tra di loro o fumando l’oppio. Calano sui paesi appena finiti i raccolti: le scolte dei contadini a guardia dalle torri danno l’allarme a colpi formidabili di gong, e tutti gli uomini validi si armano e tentano disperatamente la difesa. A volte riescono, a volte no e allora è la strage.

Questi casi di difesa organizzata dagli abitanti dei piccoli villaggi non sono rari, ma sono le rare forme di vero spirito patriottico cinese.

Molte volte questi banditi altro non sono che falangi dell’esercito, che, insufficientemente pagate, si staccano coi loro ufficiali.

Una piaga inguaribile

Il Governo cinese contro questa profonda cancrena è immancabilmente impotente.

Manda forti reparti di truppa contro una banda, ma, appena arrivati ad accerchiarla, tra il capo della banda e il generale s’iniziano trattative e il più delle volte il generale se ne ritorna avendo accettato una somma per non agire.

Si dice persino che certi governatori di provincia siano venuti ad accordi con queste bande, lasciandole operare purché consegnino prescritti tributi. Ma, a dire il vero, sono segnalate anche azioni profondamente energiche e salutari, tuttavia non durature.

Nel 1922 il generale Chin-Kai-Ming riescì a tenere per un anno il Kuang-tung perfettamente sgombro dal banditismo.

Egli assoldò tutti i principali caporioni, diede loro forti paghe impiegandoli nello sterminio dei piccoli nuclei. Finita la campagna li congedò, conservando loro una retribuzione e ammonendoli che, poiché li conosceva bene, al minimo ripetersi della vecchia consuetudine li avrebbe presi come responsabili in massa. Lo stato di cose poi si capovolse, perchè, in dissidio conSun-Yat-Sen, egli dovette ritirarsi dal suo posto.

Altro generale che non ha scherzato con i banditi è il generale Gastone Wong, educato in scuole cristiane. Come assunse il governo dell’isola di Halnan, disse: « Non sono i banditi che mi fanno paura, ma le zanzare». E ogni giorno il plotone d’esecuzione funzionava. Poi s’ammalò e, appena partito, l’isola ritornò in preda ai banditi.

Molte volte si ricorse ai bombardamenti aerei su località dove il banditismo allignava, ma al momento della punizione erano presenti più gli innocenti che i colpevoli. La giustizia cinese aveva fino a pochi anni fa tremendi sistemi di pena. II puritanesimo, americano ed europeo, ha voluto criticare questi sistemi come barbari e inumani e i Cinesi li hanno aboliti. Un vescovo, interpellato da un’autorità francese del Tonchino se credeva la decapitazione efficace al riguardo, si limitò a rispondere: «Iddio qui fa nascere tanto bambù ».

« Indifferenza » cinese

Una buona dose di legnate chi la subisce la ricorda. Mentre una lunga serie di decapitazioni può finire col riescire, per il Cinese, uno spettacolo attraente. Ma grave colpa da parte del Governo cinese è di concedere l’impunità ai malviventi quando si vogliono arruolare nell’esercito. Tale stato di cose visto in questa Cina, estesa il doppio dell’Europa, trova quasi la sua atmosfera naturale. Esclusi completamente i delitti per erotismo e per gelosia, tutto lo spirito criminale di questo quarto dell’umanità si condensa nella pirateria, nel banditismo e nei delitti per vendetta.

Il temperamento cinese è timido per eccellenza, e pirateria e banditismo come funzionano qui hanno una sottostruttura di timidezza. Fare dei colpi in duemila non significa essere coraggiosi singolarmente. E se agiscono in pochi è quella volta che sono sicuri di aver da fare con gente debolissima. Tempo fa un Padre Salesiano riesci a metterne in fuga una squadra con una chiave puntata loro contro in modo energico.

Purtroppo invece nel recente eccidio di Monsignor Luigi Versiglia e di Padre Caravario fu l’estrema energia del primo, usata nel difendere le tre Converse cinesi, che riesci fatale.

I due religiosi vennero allora così tremendamente percossi che i banditi per paura di avere in loro del testimoni accusatori li trucidarono.

Compiuto un delitto di tal genere, abbandonano immediatamente la zona, si confondono nella vasta marea, si trasferiscono ad Hong-Kong o a Macao, ed è ben difficile che qualcuno osi segnalarli.

Il ratto di giovanette per venderle è un altro attivissimo ramo di questa professione. Si racconta come l’anno scorso una banda fosse piombata su d’un villaggio vicino a Wai-chow, sull’altra sponda del Tung-chinng, e dall’Accademia militare cinese lì installata i giovani cadetti si divertissero a seguire le fasi del saccheggio.

A chi li richiedeva perché non intervenissero a difendere gli assaliti, risposero che essi non erano lì per quello.
Difficoltà di comunicazioni nell’immensità del territorio, sovrabbondanza di popolazione in rapporto al lavoro, mancanza di costrizione morale e certezza d’impunità fecondano questo sistema di vita.

Cinesi di coscienza sentono appieno tutto il disgusto per questo marciume, ma finora sono in pochi.

Giovanni Comisso

Pubblicato sul Corriere della Sera del 4 aprile 1930

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