"Virtù andalusa" di Giovanni Comisso

Virtù andalusa

Sebbene si dica che la Spagna sia nelle mani dei preti, la vita è lasciata in libero godimento, forse perché questo godimento porta al peccato e il peccato al rimorso e rimorso alla confessione e la confessione ai preti. Questa è una mia scoperta gesuitica che regalo alla terra natale dei gesuiti.

Talvolta mi prende il ricordo di certi tipi di donna che non esistono più e che hanno esistito nella mia terra Veneta, negli anni lenti e oziosi dei due primi decenni di questo secolo. Si potevano trovare tali donne nelle segrete case per l’amore delle piccole città e le cortigiane di Carpaccio vanno considerate come loro antenate. Avevano una floridezza sensuale da giovani spose, un abbandono e un languore da donne riservate in una casa, senza fare altro che dormire dalle piccole ore della notte fino alle piccole ore del pomeriggio e nelle altre ore partecipare inesauste all’amore coi frequentatori abituali, accogliendo ognuno come un amante. Dense nella carne, profumate di ireos o di violetta, senza un pensiero dietro al loro sguardo, erano impastate dal piacere, dall’ozio e da una divina stupidità, riescendo vero sogno tra tutte le imperfezioni della vita.

Queste donne, quali ultimi esemplari felici, si ritrovano ancora in Andalusia, ma viene da chiederci come mai sussistano ancora nella generale bruttezza degli uomini. Forse sono appunto esse a generarla sciupandoli, corrodendoli nella loro giovinezza con una perdizione esasperata. Composte come di una materia sanguigna diversa dagli uomini, sembra si accrescano dense, levigate, avvolte in una nube profumata di gelsomino, nutrendosi di tutto il calore dell’uomo che intristiscono. Qualcosa come le femmine di certi insetti, le quali dopo averli dissanguati nell’amore finiscono coll’ucciderli e divorarli. Donne, che in Spagna possono considerare come loro ava Maya nuda di Goya.

Francisco Goya – Maja desnuda, 1790-1800. Olio su tela, 97×190 cm. Museo del Prado, Madrid (Wikimedia Commons)

Lasciato Toledo, attraversata la Mancia, si entrò nell’Andalusia che parve un’altra Spagna, addolcita nell’aria e dovunque coperta d’olivi, d’aranci e di palme. Vi si giunse al tramonto, volli discendere dalla macchina e proseguire a piedi per qualche tratto per darmi l’illusione d’esservi arrivato camminando, mentre il cielo si arrossava vasto da una parte e la notte incalzava dall’altra. Quel rosso era già africano e il sole era scomparso dietro l’Oceano immediato. Il mio passo sembrava accrescersi al contatto con la terra, per quella strada tortuosa tra i colli, con qualche grande albero di lato che nereggiava nel tronco contro l’ultima luce. Poi uscirono le stelle tanto limpide e splendenti da risultare più vicine. Il giorno dopo si giunse a Cordoba ed era mio proposito visitare gli eremiti che vivono sulle alture vicine, ma era stabilito che il mio misticismo iniziale non dovesse più risorgere. Nel chiostro del convento vidi uscire da una cella una specie di gnomo alto poco più di un metro. Era un vecchio eremita con la testa piegata in modo da fare un angolo retto con lo stomaco. Le sue gambe si muovevano svelte, ma sembrava scivolasse, più che camminasse sulle pietre. La sua tonaca aveva il colore della polvere, egli pareva un’oca coperta di stracci e passato nel giardino del chiostro lo vidi nascondersi dietro a un roseto alzandosi la tonaca per accovacciarsi nella posa orrenda di una strega di Goya.

Nell’orto vi erano altri eremiti barbuti che fino allora avevano lavorato da muratori incalcinandosi e stavano attorno a una vasca d’acqua per lavarsi con cura la barba. La tonaca era tirata giù dalle spalle rivelando una maglia stracciata sul petto irsuto e ancora Goya riapparve allucinante nel suo disegno: «Senza camicia sono felici». Mi sentivo attrarre verso altri aspetti della vita, più seducenti, più profumati, ma il nostro albergo dal patio per ogni piano offriva un campionario di cameriere, tutte vecchie, querule e complottanti, nel presentare un bigliettino, infantile nella calligrafia, forse preparato dalla sola che sapeva scrivere, che augurava tante belle cose per le feste imminenti. Vestite tutte di rigatino celeste facevano pensare che il nostro albergo fosse una casa di ricovero. Queste vecchie assediavano di più Figallo ed egli si difendeva col dire che non teneva denaro e facendomi passare per suo segretario le indirizzava a me per avere l’obolo. Queste vecchie serve ci deludevano nella speranza di favolosi incontri con le donne di quella terra, ma si presagiva che erano come certi alberi da giardino che mascherano, a guisa di ville, nuclei di fortificazioni munite e tremende.

Foto di Jose Gallardo

Qualcosa di assai diverso, in quella Cordoba moresca, doveva stare celato dietro a questo sipario di rugose arpie, furenti nel nero sguardo tra i bianchi capelli piumeggianti. Nella notte dopo molto girare per strade malandate, si scoperse infine un locale che sembrava allegro, ma ancora ci eravamo impastoiati in noiose schermaglie. Dopo poco nel mezzo della sala venne un gruppo di giovani donne vestite modeste da sera che, schierate su tre file da una direttrice, con scialle bianco sulle spalle, presero a fare le prove di un balletto che avrebbero eseguito la sera dopo. Ci si trovava come in un collegio femminile, dove, alla fine dell’anno scolastico, si fanno di quei balletti con passi cadenzati avanti e indietro, con passaggi di quadriglia e movimenti delle braccia tutti in accordo. Ce ne andammo indispettiti, io ero deciso di andare a dormire, ma giunti davanti all’albergo si intese da un caffè il solito battito di mani che iniziava il flamenco e l’accordo di una chitarra. Figallo, che, quasi intimidito d’essere nella patria delle chitarre, aveva lasciato fino allora inoperosa la sua dentro la macchina, andò a prenderla per metterla finalmente in azione. Gli dissi che se combinava qualcosa di fantastico mi venisse a svegliare e ci lasciammo.

Fiesta tradicional andaluza, colores, faralaes, goyescos, alegria y tradición (Gaval foto, Wikimedia Commons)

Verso le tre della mattina lo intesi rientrare e lo chiamai. Cordoba non era da meno di Barcellona, anche in questa città vi si viveva follemente alla notte. Entrato nel caffè, aveva messo la sua chitarra in un angolo, ascoltando tranquillo le suonate di tre chitarristi spagnoli, i quali invero non facevano che ripetere sempre gli stessi motivi. Una donna assai bella con la quale si era scambiato sguardi brucianti andò al suo tavolo e lo pregò di suonare. Si fece portare un bicchiere di birra e strisciandolo sulle corde appena allentate prese a suonare sul tono della chitarra avaiana dando sorpresa a tutti. Sempre più infervorato dal successo e anche per incantare quella donna, alzatosi e posato un piede sulla sedia, si scatenò come nei momenti buoni della sua ispirazione suonando e cantando le più variate canzoni. Cantò in spagnolo, in italiano e in francese con tale furore che quei chitarristi spagnoli non osarono più esibirsi. Ammirati, non lo avrebbero più lasciato finire se la donna strizzandogli l’occhio non l’avesse invitato a uscire. Con lei aveva finito in un giardino dove le aveva dato prova di altro furore, incominciando in un certo modo che non doveva essere consueto per gli spagnoli, ma poi stanco di essa l’aveva fatta accomodare nella macchina, che stava davanti all’albergo, dicendole sarebbe ritornato subito e sperava che stanca di attendere se ne sarebbe andata. Aveva appena finito di raccontarmi la sua avventura, quando suonò il telefono: il portinaio diceva che una signorina attendeva di avere cento e cinquanta peseta. Gli risposi riferisse che si era disposti a fargliene avere solo cinquanta, ma Figallo intervenne, non le avrebbe dato nulla, invece mi alzassi e scendessi con lui se volevo vedere cosa fosse la Spagna di notte. Mi vestii e scendemmo. Seduta tranquilla nell’automobile vi era quella signorina, profumatissima di garofano, e subito felice di vedere Figallo gli buttò le braccia al collo stringendolo in un bacio che credevo lo volesse soffocare. Ella era passata alla richiesta del denaro solo per obbligarlo a scendere, non voleva che il loro incontro fosse finito così, lo avrebbe portato in una casa dove avrebbero potuto avere una stanza. Indicando la strada vi si giunse poco dopo. Entrammo in un patio e aperta una porta ci trovammo in un salotto illuminato dove a una grande tavola stavano sedute alcune giovani donne assieme a una più anziana, ma fiorente ancora. Entrando dissi che quella era una bellissima compagnia per mettersi a giuocare a tombola; tutte si diedero a ridere. La nostra compagna raccontò subito di Figallo che era bravissimo a suonare la chitarra. Poi avvicinandosi all’orecchio della donna anziana, le sussurrò altre cose, subito intese da una bionda seduta accanto. Dall’informazione avuta così segretamente quelle due donne parvero tanto eccitarsi, che subito si alzarono per prenderlo al braccio e portarlo a sedere alla tavola. Io mi accomodai tra le altre.

Córdoba, España (Wolfgang Manousek from Dormagen, Germany, Wikimedia Commons)

Fu in questa strana sala che ritrovai quei tipi di donne che esistevano nel principio di questo secolo e che oramai non esistono più. Dense, levigate, floridamente sensuali come giovani spose, avvolte in nubi profumate di gelsomino, di gaggia e di garofano, riservate in quella casa, come in un harem. Il nero sguardo di quelle donne era attonito in una curiosità indolente, sole senza un uomo che le ravvivasse in quelle piccole ore della notte, facevano pensare d’essere ai bei tempi della potenza spagnola, quando il meglio degli uomini se ne stava lontano a combattere nelle Fiandre o a insaccare oro e argento nelle Americhe ed esse languivano in vana attesa d’un ritorno. L’anziana, che doveva essere la padrona di quella casa, volle che Figallo prendesse la chitarra. Egli rifiutò seccato, ma tutte gli si strinsero attorno imploranti fino a farlo accondiscendere di suonare almeno un solo pezzo. Uscì a prenderla dalla macchina, ma passato qualche minuto, non lo si vide ritornare. La donna che ci aveva accompagnato ebbe il sospetto che se ne fosse andato via e aperse la porta per andare a vedere. La luna illuminava a metà il patio, lo richiamò, nessuno rispose, già gli lanciava una scarica di maledizioni, quando dall’ombra, dove egli si teneva nascosto fece sentire un accordo e subito prese a cantare. Dall’ombra passò alla luce e avanzando lento venne nella sala, sempre accompagnandosi con la chitarra nel canto. Accelerò sempre di più gli accordi fino a terminare con un rabbioso miagolio da gatto innamorato, proteso avido lo sguardo, rasentando con la bocca il volto della donna anziana, come l’avesse prescelta a tutte le altre ed ella glielo strinse con le mani per baciarlo sulla bocca. Ma l’altra, che ci aveva accompagnato in quella casa, si interpose stizzita, prendendolo a sé e iniziando con la padrona una disputa serrata di cui era difficile afferrare le parole. Specie poi quando si interpose anche la bionda che al nostro entrare aveva sentito l’informazione segreta sussurrata all’orecchio della padrona. In quel battibecco che non finiva mi presi una di quelle donne che più delle altre mi ricordava quelle di altri tempi delle segrete case per l’amore della mia terra e aveva proprio come allora le palpebre velate di azzurro. Attraversammo il patio verso una piccola stanza e ridevo nel pensare che Figallo avrebbe finito sbranato da quelle donne.

Esibizione di Flamenco (Diego Delso, Wikimedia Commons)

Andalusia, terra favolosa dove le donne sono ancora lasciate a vivere nell’abbandono alle supreme virtù della loro carne, senza tormenti di redenzioni sociali, senza vane illusioni di diritti elettorali, senza partiti e senza sindacati che le proteggano, senza incatenato asservimento al lavoro delle fabbriche, senza lezioni di ginnastica, consapevoli solo di amare fino al peccato. Donne che sono le bambine dei secoli antichi, ricordo vivente lasciato in questa terra dagli Arabi, dopo ottocento anni di dominio. Quella donna, nella piccola stanza non aveva fatto con me alcun calcolo di denaro o di tempo, se mai ero io l’idiota tentato di parlarne. Divinità non classificata ancora, ella annientava tempo e denaro, questi due veleni che rattristano la nostra vita moderna e mi reclinavo alla sua adorazione, tra la densità del suo corpo e il profumo primaverile di gelsomino che si scioglieva dai suoi capelli. Maya nuda di Goya, argentea nel suo petto mi affondava nell’estasi.

Flamenco performance in Palacio Andaluz, Sevilla, Spain (Diego Delso, Wikimedia Commons)

Ma dalla stanza attigua venne un chiasso indiavolato di donne tra le risate di Figallo. Apersi la porta per vedere e sul vano illuminato dell’altra porta, mi apparve la donna che ci aveva accompagnato a quella casa, ignuda, e sembrava venire a patti con la bionda, nel reggere la tenda per farla entrare, mentre Figallo ghignava faunesco, coprendosi con un cuscino. Nel vedermi disse che la sarabanda era appena incominciata e mi avrebbe raccontato ogni cosa.
Verso l’alba nel rientrare all’albergo mi spiegò mezzo stordito che la padrona di quella casa aveva imposto come obbligo, per concedergli la stanza che dovesse prima usarla con lei. Dopo averla disfatta come uno straccio, si era infine ritirato con la donna conosciuta per prima, ma la porta era senza catenaccio, come al tempo dell’Inquisizione, ed era sopraggiunta la bionda, pretendendo di avere la sua parte. E tutto era finito gloriosamente.
Nelle prime luci del giorno s’in­contravano per la strada solo alcuni barocci e le sonagliere tintinnivano al collo dei cavalli.

Orando a los viejos dioses de la Guerra (Abel Garcia from Asunción, Wikimedia Commons)

Sebbene si dica che la Spagna sia nelle strette mani dei preti, la vita è lasciata in ampio e libero godimento, forse perché questo ampio e libero godimento porta al peccato e il peccato al rimorso e il rimorso alla confessione e la confessione ai preti con sempre una generosa assoluzione dopo breve rampogna. Con donne simili a quelle che abbiamo conosciuto a Cordoba, non è certo necessario che romanzi, riviste illustrate o il cinema corrompino la gioventù spagnola insegnando come si debba baciare una donna e andare oltre. Quindi se tutte quelle produzioni vengono rigidamente censurate non fa né caldo né freddo. I giornali sono stampati con caratteri così imperfetti, come in piccole stamperie parrocchiali, che viene da pensare lo si faccia appositamente per non indurre a leggerli. Forse si vorrebbe che non si sapesse neanche leggere e scrivere se l’organizzazione scolastica è tanto deficiente. Appena nasce un bambino viene subito prenotato un posto nella scuola statale per quando avrà l’età di frequentarla, ma giunto quel momento si troverà escluso perché la scuola troppo piccola è ugualmente nelle condizioni di non poterlo ospitare. Se la famiglia non è del tutto povera vi sono certe scuole a pagamento tenute da qualche signorina istruita che farà lezioni per una classe unica e sommaria. Quelle gestite dal clero sono già scuole per i ricchi e a Barcellona e a Madrid le scuole statali straniere, italiane, francesi, svizzere e inglesi, che dovrebbero funzionare per i rispettivi nazionali, sono invece in maggioranza frequentate dagli spagnoli, perché più economiche delle altre. In queste condizioni l’analfabetismo è dilagante e così l’amore in questo paese non trovando il freno e il pensarci sopra di una corrispondenza scritta, precipita fulmineo fino alla corruzione e al vizio. Questa è una mia scoperta gesuitica che regalo alla terra natale dei Gesuiti.
Giovanni Comisso

da Il Mondo del 8 marzo 1955
Immagine in evidenza: Cordova – Centro Histórico (Jose María Ligero Loarte, Wikimedia Commons)

Share