La "Grande Guerra" - Sopra le trincee c'erano le stelle

La “Grande Guerra” – Sopra le trincee c’erano le stelle

Dopo 50 anni, dopo mezzo secolo, ripensando alla Grande Guerra ci si trova sempre sbalorditi, senza possibilità di spiegarci come mai la società europea, che strade, ferrovie e telegrafo avevano reso più compatta e comunicante, avesse potuto da un’ora all’altra precipitarsi armata tra le sue parti per sbranarsi come belve.

A Sarajevo un arciduca austriaco era stato ucciso da un colpo di pistola. Il punto d’onore dell’Austria era stato offeso e le varie nazioni come fossero famiglie siciliane si schierarono da una parte e da un’altra uccidendosi alla cieca in una mischia senza fine.

L’attentato di Sarajevo in un’illustrazione di Achille Beltrame (fonte: Wikimedia Commons)

Pareva di avere raggiunto tanta civiltà, tanta scienza, tanta Sapienza, perché era stata inventata la lampadina elettrica, il motore a scoppio E il microscopio e invece tutto venne a servire per scatenare al massimo la barbarie.
Gli uomini che diedero gli ordini di fare la guerra non potevano rispondere di quella tragedia immensa che era superiore alle loro facoltà mentali.

Quella guerra era scaturita in Europa come una delle tante possibilità naturali in schiavitù della vita con le stelle. A un certo momento delle stagioni gli alberi da frutto gonfiano le gemme che si aprono e mandano fuori i fiori che attraggono miriadi di insetti per sviluppare i connubi e determinare le frutta. A un altro momento i gatti ricevono l’ordine dalle stelle di iniziare le dispute d’amore e miagolano e si graffiano tra loro fino a sanguinare affannati e stravolti per contendersi una femmina che tramandi la specie. Non vi avevano mai pensato prima, solo in quel determinato momento è partito l’ordine, ed è stato ricevuto e sono stati adoperati gli artigli di cui sono muniti ed erano fino allora tenuti nascosti.

Così la società europea prima dell’ordine di fare quella guerra non vi aveva pensato. L’esercito e i cannoni servivano per lo sfoggio elegante delle riviste nei giorni solenni, i confini tra uno Stato e l’altro si valicavano senza bisogno di passaporto, i treni di lusso e i grandi espressi andavano da Parigi a Costantinopoli per il gusto dei ricchi. Vi erano le villeggiature di grande attrazione: Biarritz, Nizza, il Lido di Venezia, Ostenda, Saint Moritz, la Carinzia, i grandi alberghi, la buona cucina con le specialità regionali, i luoghi di cura d’acque. Medici famosi potevano compiere il miracolo di guarire da mali tenebrosi. Si viveva nella belle époque, con canzonette e valzer deliziosi e non si sapeva. Economicamente non vi era il paradiso per tutte le classi sociali, vi era l’emigrazione, il lavoro nelle miniere, la pellagra, la tubercolosi, la sifilide, ma si andava avanti tra compromessi e illusioni. D’improvviso una chiavetta girò e fu la guerra.

Artiglieri italiani in azione con il 7527 Mod. 1911 (Archivio Fotografico Bernini Enrico, Wikimedia Commons)

A ripensarvi sopra è stato più esplicabile lo scatenarsi della Seconda Grande Guerra, perché questa fu voluta e preparata da pochi uomini folli che passavano per teorici, ma nella Prima gli uomini responsabili erano sproporzionatamente inadeguati alla enormità della tragedia.

Quella guerra fu voluta dalle stelle e poi avviata ed eseguita come una guerra di collaudo dell’artiglieria d’assalto. Sul fronte italiano per tutti e tre gli anni di battaglia la Suprema sicurezza stava nella artiglieria, perché dalle Alpi al mare era un assedio da compiere, e fu terribile. Avevamo molti cannoni e un corpo di ufficiali abilissimi, usciti da quella competenza di studi tecnici determinata da una sana coscienza della borghesia italiana.

Fritz Weber – Das Ende der alten Armee

Ricordo in un osservatorio avanzato sull’Isonzo alcuni ufficiali di artiglieria che dirigevano il tiro micidiale sul Carso. I loro volti anneriti, aspri ed avidi negli occhi esprimevano un accanimento a godere nel fare la guerra. L’arma oramai aveva preso la mano agli uomini e agiva di per sé stessa. E dall’altra parte, ce lo testimonia Weber nel suo libro Das Ende der alten Armee (edito da Mursia), i soldati nemici diventavano pazzi dal terrore con le bave alla bocca, insanguinati del proprio sangue e chiazzati dalla materia cerebrale dei compagni ai quali proiettili avevano scoperchiato il cranio.

Noi non lo sapevamo, nessuno lo sapeva e per noi con i vent’anni fare la guerra era come una scampagnata.

Giovanni Comisso – Giorni di guerra

Lo sapevano quelli che andavano all’assalto e che non tornavano. E se tornavano lo testimoniavano attraverso lo stupore di essere rimasti vivi, e non sapevano spiegarsi cosa fossero divenuti, cosa avessero fatto e perché (Giorni di guerra di Giovanni Comisso, edizione Longanesi).

La terra si imbeveva del loro sangue e si disseminava delle loro ossa calcinate dai lanciafiamme. Dai dorsali del Carso qualche nemico vedeva Sistiana dove da ragazzo andava da Vienna a fare i bagni con sua madre. Io dal Grappa e sul Montello ricordavo le gite scolastiche fatte qualche anno prima, in quegli stessi luoghi. Neanche i sogni più allucinanti potevano convincerci che quella fosse la realtà.

Tutti eravamo pronti a uccidere e ad essere uccisi per determinare il corso della vita che sarebbe diventata storia. Così doveva avvenire, perché altri avvenimenti si sarebbero sgranati dopo ed erano necessarie quelle morti atroci, quel sangue, ma era troppo poco per giustificarli al popolo europeo che pareva avesse solo la scienza, la sapienza e la ragione come angeli di consiglio. Eravamo non uomini, non bestie, ma deboli forze influenzate dal clima delle stelle. Pedine messe in movimento nella scacchiera della terra da una volontà più forte di noi e che non potevamo raffigurare né in un dio, né in un demonio. E così sarà sempre.

Giovanni Comisso

da La Gazzetta del Popolo del 23/05/1965

Immagine in evidenza: Alpini italiani in movimento (fonte: Wikimedia Commons)

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