L'amore nel campanile (prima parte)

L’amore nel campanile (prima parte)

Non so come sia stato, ma al mio arrivo in Spagna fui preso da un lento e accerchiante misticismo. Incominciò una sera, dopo avere visitato i mercati di carnami, di pesce, di frutta e di verdura che sono di lato alla Rambla. Di raro mi era toccato vedere una mostra così variata, abbondante e sfarzosa, e nessuno veniva a comperare. Non di certo gli alberghi, come il mio, si rifornivano in quei mercati, se i cibi offerti ogni giorno sapevano di mensa di collegio.
Nella vasta Barcellona, con la sua gente che può abitare nelle grotte del Tibidabo o nei grattacieli di piazza Catalugna, vi doveva essere una specie di setta segreta a cui erano riservati quei branzini enormi, quelle aragoste irte e minacciose, quelle ostriche, quei funghi, quelle grasse pernici, quelle chiocciole, quegli ananas rosati. Non la grande folla che incontravo per la Rambla si riforniva a quei mercati, composta come era di esseri minuti, pallidi e consumati.
Una mattina avevo incontrato due carpentieri di Amburgo, di quelli che vanno per l’Europa a costruire i tetti aguzzi, ed erano alti, biondi, solenni col loro cappello a larghe tese e il vestito di velluto nero, conversando con loro scendevo per la Rambla. Tra la folla degli spagnoli incuriositi, intimiditi, sfuggenti, piccoli, quasi, colla testa rientrante nelle spalle, mi sembrava di camminare con due superbi struzzi nel mezzo di uno sciame spaurito di ranocchi. Toccava però, assai spesso, incontrare per le strade certi preti imponenti che tenevano un mantello di seta nera avvolto attorno al corpo come una toga, erano indubbiamente gli spagnoli più sani, più nutriti, più belli e pensavo appartenessero alla setta segreta a cui erano riservate quelle cibarie preziose.

Plaça Catalunya from Corte Ingles (Antonio De Lorenzo, Wikimedia Commons)

Ma una sera davanti al teatro dell’opera, tra un grande apparato di guardie, vidi sfilare la più ricca borghesia della città, mentre scendeva dalle automobili. Gli uomini non avevano stile nell’indossare l’abito da sera, lo portavano come preso in prestito. Giovani, ma sciupati, già a capo di grandi industrie e di grandi traffici non sapevano darsi alcun tono di gravità e non sembravano essi i mangiatori di branzini, di aragoste e di ananas. Ma le loro donne che sgusciavano sorridenti dalle automobili, con ampie pellicce sulle vesti di seta frusciante e con rilucenti gioielli sulle carni fresche ed esuberanti, queste mi confermarono essere le segrete divoratrici delle pernici, delle chiocciole, delle ostriche e dei funghi che avevo visto in mostra. Certune nel rialzarsi fuori dall’automobile rivelavano fianchi insaziabili, ma contro a loro mi si imponevano alcune ragazzine del popolo, forse le sartine che avevano tolto le imbastiture a quei vestiti, con misere borsettine al braccio per apparire eleganti, che venivano a bearsi del lusso di quelle signore. Questi contrasti mi disponevano alla malinconia.

Un’altra sera vidi sull’ingresso del palazzo Molinas l’avviso di una mostra del ritratto della Madonna, pensai fosse una raccolta di cattivo gusto popolaresco e moderno e invece vi trovai antichi pezzi di scultura in legno e quadri stupendi. Certe Madonne gotiche sedute in trono, protese in avanti, non creavano in me meraviglia, ma un vero fascino ipnotico per cui rimanevo davanti a esse in adorazione. E ci vollero alcune sante Terese, a grandezza naturale, avvolte in un ondeggiante mantello nero, a distrarmi col languore, pallido e sensuale del loro volto affilatissimo. In quelle statue di legno del Seicento non erano raffigurate sante in estasi, ma donne bramose solo di un amplesso che ritardava a venire. La mostra era fatta con una certa malizia, mentre in alcune sale vi erano quadri di Madonne col Bambino, coperte al petto, in un’altra sala vi erano raccolti certi quadri, dove il petto era invece del tutto o in parte scoperto. Sembra che in Spagna, in altri secoli, se una chiesa aveva a un altare un quadro di Madonna col petto scoperto, poteva attrarre maggior numero di fedeli che altre chiese con Madonne rigorosamente coperte. Non per questo nel mio misticismo formicolante mi sentivo di frequentare la cattedrale gotica. Era invece questo stile architettonico, trapiantato in Spagna dal Settentrione europeo, che mi affascinava. Dal giorno che mi accorsi di questa cattedrale e del gruppo di edifici, pure gotici, che l’attorniano, non mancavo di trascorrervi qualche ora in meditazione. Così mi accorsi che lo stile gotico e il moresco sono stati come due venti a disputarsi il cielo di questa terra in accompagnamento ai popoli che l’hanno dominata. Mi rivelai, ancora, che le sottili colonnine gotiche rameggianti floreali e volubili avevano una corrispondenza, per così dire, interiore con gli arabeschi delle ceramiche e delle iscrizioni islamiche. Mi piacevano le ombre della cattedrale dove vecchie donne stavano inginocchiate sulla fredda pietra battendosi il petto, dove gli ori degli altari riscaldavano come bracieri e finivo io pure a inginocchiarmi tormentato dal pensiero che il tempo è un terribile mostro contro il quale è inutile difendersi. Inutile immedesimarsi nell’arte per resistere alla furia dei secoli, tutto si corrode e si trasforma secondo leggi che sfuggono alla mente umana e che appartengono piuttosto alle determinazioni della fisica o degli elementi scatenati dalla natura. Stavo proprio per abbandonarmi al misticismo come a un sollievo, quando vidi sulla cancellata della cappella davanti alla quale stavo inginocchiato una scritta: — Nostra Signora della Luce protettrice degli industriali idroelettrici. — Mi alzai di scatto, pensai a una beffa e uscii dalla chiesa senza farvi più ritorno. Quella Madonna della Luce proteggeva così male gli industriali idroelettrici spagnoli che in mancanza di pioggia si era costretti a limitare l’uso della luce a quattro giorni alla settimana, e anche questo, con le giornate brevi invernali, aveva servito ad accrescermi il senso del tempo perduto e la tristezza.

Spain, Barcelona, La Rambla at the Plaça de Catalunya (Berthold Werner, Wikimedia Commons)

Intanto che frequentavo la cattedrale gotica, le sue adiacenze e che coltivavo il mio misticismo, Figallo si era dato a grandi avventure, fiero del suo aspetto di spagnolo di altri tempi, che però secondo le donne lo faceva rassomigliare a un artista del cinema italiano. Una delle prime mattine del nostro soggiorno a Barcellona, mentre uscivo dall’albergo per andare alla Messa per i cacciatori, che precede tutte le altre, lo incontrai tutto raggiante di ritorno da una nottata eccezionale. Dopo un lungo sonno riparatore, nella sera, mi raccontò ogni cosa. La vera vita, nel nostro quartiere, cominciava all’una dopo mezzanotte fino all’alba e consisteva in ben altro che nel flamenco ballato dalle false gitane. In quelle ore tutte le bettole e i caffè erano aperti e vi si potevano trovare donne incantevoli nel fiore della loro giovinezza che sembrava fossero state fino allora in attesa di lui. — Di certo, mi disse, gli spagnoli non devono sapere fare all’amore. Pazze, pazze le ho fatte diventare. — Gli ribattei che egli doveva essere impazzito, come Don Chisciotte che spasimava d’amore per Dulcinea del Toboso, illuso fosse una meraviglia, mentre invece era una vecchia rugosa.

Barcelona (Freepenguin, Wikimedia Commons)

Alla mia incredulità mi fece vedere la fotografia di una di quelle donne e sebbene ritratta nella posa ridicola di parlare al telefono, come per fissare un appuntamento, risultava in vero di primo ordine. Questa che si chiamava Luisita era il suo cavallo di battaglia, ma altre giostravano attorno ed egli si divertiva a scatenarle nel giuoco della gelosia. Mi disse che gli ingressi sopra a cui stava scritto in rosso: Habitaciones, portavano a piccoli alberghi per l’amore. Vi si pagava pochissimo, con tutte le comodità e per starvi quanto si voleva. Nel suo raccontare era confuso come chi in vero si fosse vuotato la testa in amore. Tentava di descrivermi i suoi amori come scene acrobatiche, in cui sollevata la donna con le mani posate alla schiena avevano finito col rotolare entrambi sul pavimento, ma poi passava a parlare delle cameriere di questi piccoli alberghi vestite di grembiuli bianchi con merletti e spalline, che, incuriosite nel vedere le altre donne delirare per lui, entravano con qualche scusa nella stanza e non volevano più uscire. Quelle stanze erano deliziose, secondo lui, quanto le donne, erano piccole, con tendaggi, col bagno e con grande giuoco di luci, era deciso di stabilirvisi per vivere come un sultano nel suo harem. Mi raccontò la sua ultima avventura. Aveva ritrovato Luisita, in una bettola per toreadori tutta adorna di teste di tori imbalsamati, mentre egli stava chiacchierando con un’altra. Le due donne presero a leticare tra loro e aveva approfittato per andarsene. In un caffè ne aveva trovato un’altra e con lei era passato al suo solito piccolo albergo, ma neanche dopo un quarto d’ora era sopraggiunta Luisita, e prese le vesti dell’altra, le aveva gettate nel corridoio e l’aveva fatta uscire nuda, per prendere il suo posto. Appena liberato da quel mio strano misticismo, tutte queste storie mi riescivano come sognate da Figallo, ma egli insisteva che andassi con lui in quella notte per il quartiere e conoscervi la vita sfrenata. Gli risposi che avrei dovuto avere venti anni di meno per prestarmi alle illusioni di quei giuochi, infine tutti i suoi successi erano stati scontati con centinaia di peseta e se mai mi riservavo a quegli abbandoni in Andalusia, dove l’aria è più seducente. Ribatté di avere solo pagato la stanza, ma non gli credevo.

View from Monument a Colom, Barcelona (Ralf Roletschek, Wikimedia Commons)

Si uscì assieme a passeggiare sulla Rambla tra le grida monotone dei ciechi che vendevano biglietti delle lotterie, quando incrociammo con due ragazze e una disse all’altra con riferimento a Figallo: — Mira que guapo. — Egli non aveva capito, glielo dissi e ci si volse per raggiungerle e parlare. Anch’esse erano certe che egli era un artista del cinema. Le invitammo in un caffè, quelle ragazze più che sete avevano fame e si ordinò per esse un piatto di gamberetti e olive. Poi fermai un tassì e tutti vi salimmo per una corsa fino al parco della Cittadella. Egli aveva posato il braccio sulle spalle di una di quelle ragazze e io su quelle dell’altra, ma la mia non aveva nulla di seducente, davanti al palazzo della Posta, presi il pretesto per scendere, e dissi ci sarebbe rivisti in albergo per la cena. Vi fece ritorno solo a mezzanotte, la mia compagna aveva voluto scendere anche lei, era rimasto solo con l’altra, avevano girovagato tra le rive del porto e questa volta non aveva speso neanche i denari per la stanza.
Giovanni Comisso

[segue…]

da Il Mondo del 22/02/1955
Immagine in evidenza: Basilica de la Sagrada Familia (Jose Ramirez from Barcelona, Wikimedia Commons)

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