"Vedove di Camus" di Elena Rui: quattro ritratti più uno

“Vedove di Camus” di Elena Rui: quattro ritratti più uno

Avevo già seguito la carriera di scrittrice di Elena Rui partendo dal romanzo “La famiglia degli altri” che ha pubblicato per Garzanti nel 2021 e passando attraverso i racconti della raccolta “Affetti non desiderati” uscita per Arkadia nel 2024. “Vedove di Camus” è però un libro totalmente diverso in cui mi sembra di poter dire che l’autrice si sia trovato molto a proprio agio.

Andando per ordine “Vedove di Camus” esce a maggio 2025 per l’editore “L’orma” molto affine alle questioni francesi ma soprattutto editore del Premio Nobel per la letteratura Annie Ernaux. Detto questo francamente non mi pare di individuare casa editrice più adatta per ospitare nel proprio catalogo l’ultimo lavoro di Elena Rui.

Il nucleo di “Vedove di Camus” è presto raccontato. Si tratta del racconto di quattro donne che hanno amato e sono state amate dal grande scrittore franco algerino Albert Camus. Lo scrittore de “La peste” e de “Lo straniero”, tra i tanti suoi capolavori, è sempre stato molto attratto dal fascino femminile e molto poco avvezzo alla monogamia.

Il 4 gennaio 1960 Albert Camus decide di non ritornare a casa in treno con moglie e figli dopo un soggiorno a Lourmarin. Con la famiglia ha passato le vacanze di Natale assieme all’editore Michel Gallimard il quale lo convince a ritornare a Parigi con la nuova lussuosa macchina che ha da poco acquistato. Si tratta di una Facel Vega, una casa automobilistica francese che in quel momento è a metà della sua vita e che di lì a quattro anni è destinata a sparire, chissà forse anche a causa di quello che succede durante il viaggio di ritorno a Parigi. L’editore è molto fiero della nuova vettura e vuole mostrare a Camus di cosa è capace su strada. Quel 4 gennaio la Facel Vega, nata per contrastare la supremazia di Rolls-Royce, Aston Martin. Bentley e anche della nostra Maserati, perde aderenza presso Villeblevin, sbanda, si schianta contro un platano e finisce la corsa in un groviglio di lamiere. La vita dell’uomo e dello scrittore Albert Camus finisce in un attimo. Gallimard muore cinque giorni dopo, la moglie e la figlia sopravvivono. In una delle tasche di Camus viene trovato un biglietto del treno non utilizzato: destino.

La notizia si sparge subito ai quattro venti e le donne che hanno condiviso la vita e l’amore di Camus ne subiscono l’impatto. Le loro situazioni però sono completamente differenti. Accanto alla moglie Francine Faure che può farsi colpire dal lutto e viverlo anche apertamente, ci sono altre tre figure che devono trovare un modo per riuscire ad affrontare la perdita restando comunque all’interno del proprio ruolo. C’è Catherine Sellers, l’attrice di teatro, musa di Camus, che Rui definisce “Sherlock Holmes”. Non è l’amante ufficiale, anzi, pare che nessuno riconosca il suo ruolo nella vita di Camus. Lei si cimenta in un’indagine per capire quale ruolo avesse, per capire se Camus avesse parlato di lei. Lei che è un’attrice abituata a essere investita di ruoli precisi di trova in secondo piano, quasi parte della scenografia. Soffre di un lutto che non può confessare a nessuno.

C’è poi Mette Ivers, la giovane pittrice. La più giovane e l’ultima favorita di Camus. Pare che lo scrittore avesse perso la testa per lei e che la portasse anche agli incontri in campagna con l’editore Gallimard. Mette Ivers è l’ultima, delle quattro vedove, a essere ancora in vita; ha novantadue anni ed è stata anche l’ultima a parlare del suo rapporto con lo scrittore. Quasi una forma di pudore, di rispetto nei confronti delle altre vedove. Nel capitolo a lei dedicato ci sono delle riflessioni molto interessanti su quale avrebbe potuto essere il rapporto tra Camus e il mondo moderno, a partire molto semplicemente dall’utilizzo di un cellulare fino alla dismissione della classica corrispondenza via lettere che ha permesso la pubblicazione di alcuni epistolari tra lo stesso Camus e le persone a lui care, vedove comprese.

Infine Maria Casarès, detta “l’unica”. Se ci può essere una cosa come un’amante ufficiale lei ricopriva indubbiamente questo ruolo.

Il ritratto di Camus cresce in maniera incrementale, pezzo dopo pezzo, confessione dopo confessione, particolare dopo particolare. Gli sguardi delle quattro vedove si intersecano alla perfezione mostrando un Camus estremamente coerente nella sua imperfezione di essere umano. Un uomo che nonostante il Nobel continuava ad avere dubbi sulla propria capacità di scrittore, ma anche un uomo che nonostante fosse circondato da donne, nonostante fosse in grado di sedurle con la propria intelligenza sembrava essere costantemente alla ricerca della conferma di essere degno dell’amore che riceveva. Camus era alle prese con la gestione di un vuoto che non riusciva a colmare. Ne esce un ritratto di un uomo complesso, costretto per motivi di salute a pensare anche in giovane età alla morte. Morte che poi arriva, inaspettata forse in un momento in cui Camus ha davanti una svolta artistica e ha la sensazione di aver imboccato la strada giusta. Sarà un’altra strada però a intromettersi tra lui e il suo futuro.

Elena Rui costruisce un romanzo ibrido, qualcosa che sfiora in certi punti il memoir; lo fa puntando quattro sguardi su Camus, quattro sguardi che diventano quattro spettri di diversa frequenza capaci di mostrare ognuno una parte dell’uomo e dello scrittore.

L’intervista

[Gianluigi Bodi]: Cosa ti ha spinta a scandagliare nella vita di queste quattro donne? Qual è stato l’impulso che ti ha fatto decidere di raccontare questa storia?

Elena Rui

[Elena Rui]: Capita, secondo me, che chi scrive sia tormentato da domande ricorrenti e che finisca col realizzare infinite variazioni di un unico grande libro. Le questioni che mi assillano probabilmente ruotano intorno all’amore e alle relazioni intime, ma anche al processo creativo della scrittura e al suo rapporto con gli aspetti materiali e affettivi del quotidiano. La scomparsa improvvisa di Albert Camus dall’esistenza delle quattro donne che in quel momento “se lo contendevano” mi offriva un materiale prezioso per continuare a muovermi in queste acque. Non so collocare esattamente la data in cui ho avuto l’intuizione che in queste vicende ci fosse del materiale fecondo; direi che però le cronologia è stata: ammirazione per lo scrittore e il filosofo Albert Camus, interesse per la sua relazione con Maria Casares, approfondimenti sulla sua biografia, scoperta di altre relazioni amorose parallele molto importanti, immedesimazione nel lutto delle quattro donne che in quel quel momento facevano parte della sua vita, voglia di documentarmi e di lasciarmi ispirare dalle mie scoperte per scrivere un romanzo.

Quali riflessioni hai fatto per giungere alla forma che hai utilizzato in Vedove di Camus?

Mi sono prefissa di evitare il lirismo e l’eccesso di pathos. Questo mi ha fatto escludere molto presto la narrazione in prima persona. Volevo poi che le informazioni raccolte decantassero per affrancarmi dal dato biografico puro e duro. Era importante immedesimarmi nelle quattro donne, cercare di ragionare come loro, creare, a partire dal vero, una finzione verosimile. Ho considerato brevemente l’idea di organizzare la narrazione da un punto di vista cronologico, ma mi sono resa conto che il racconto sarebbe stato più potente e incisivo dando ad ogni vedova il suo spazio. Le loro storie s’incrociano ma è il lettore a fare le connessioni. C’è sempre stato un prologo, un antefatto: l’incidente. L’idea di chiudere con un epilogo che prenda le distanze da ognuna delle quattro figure femminili è venuta più tardi, quando già il romanzo era finito.

Elena Rui © LouizArt-Lou

Qual è stato l’impatto delle fonti? E che tipo ti riflessione hai fatto per gestire l’equilibrio tra ciò che è documentabile e ciò che invece è finzione?

L’impatto delle fonti non è stato solo documentario, ma anche emotivo. Decifrare la scrittura di Catherine Sellers, rilevare la concitazione di certi appunti, intuibile dalla grafia, scoprire qualche alone intorno alle lettere dovuto a una lacrima, è stato un modo di vivere con lei e mi ha permesso d’immedesimarmi. Nel fondo Tabard-Sellers ci sono anche foto inedite di Albert Camus a Lourmarin scattate da Catherine Sellers durante l’estate che ha preceduto la sua morte. Qualche giorno dopo l’incidente si è ricordata di averle ancora nel rullino della sua macchina fotografica ed è corsa a svilupparle. Ho letto questa informazione nel suo diario, l’ho ricopiata nei miei appunti e poi un giorno, continuando le mie ricerche, ho trovato quegli scatti. So che c’è un lato un po’ morboso in tutto questo ma… vederli tutti insieme in costume da bagno – Albert, Francine, i gemelli, Catherine Sellers – mi ha molto emozionata, e soprattutto mi ha ispirata in un modo indefinibile, irrazionale, in qualche modo sinestetico sull’atmosfera di quell’estate. La riflessione che ho fatto quando mi sono messa a scrivere è stata più o meno questa: non devo dire niente di falso, ma è un romanzo, per cui dal dato verificato, attraverso l’immaginazione, devo arrivare a una finzione plausibile.

“Vedove di Camus” di Elena Rui
Editore: L’orma editore
Data di pubblicazione: 23 maggio 2025
Lingua: Italiano
Lunghezza stampa: 180 pagine
ISBN-13: 979-1254761236
Peso articolo: 252 g
Dimensioni: 14.6 x 1.7 x 21.6 cm

Elena Rui, nata a Padova nel 1980, vive in Francia dal 2005. Ha insegnato italiano ad Albi, Tolosa e Parigi. Ha già pubblicato La famiglia degli altri (Garzanti, 2021) e la raccolta di racconti Affetti non desiderati (Arkadia, 2024). Vedove di Camus è il suo ultimo romanzo.

Immagine in evidenza: Camus a Stoccolma per il Premio Nobel (di Jan Ehnemark, Wikimedia Commons)

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